La festa finale

New York Encounter, attrazione magnetica

Il desiderio infinito e la paura che non si realizzi. Nel cuore della Grande Mela conferenze, mostre e spettacoli per affrontare il vero problema dell’uomo. Qui si condensa la vita della comunità di CL degli Usa. Ecco cosa abbiamo visto
Luca Fiore

Sui marciapiedi c’è quel che rimane degli alberi di Natale. Piccoli abeti avvolti con lo spago, pronti per essere portati via dalla nettezza urbana. Alla vigilia della tempesta di fine gennaio, la Grande Mela ha appena detto addio alle luminarie e alle feste comandate. Ed è qui che il New York Encounter accende i riflettori su qualcosa che l’America, di solito, dimentica nell’ombra del non detto. Qualcosa per cui si prova imbarazzo. Uno di quegli argomenti che è meglio evitare a sé e agli altri.
Cosa sia lo dice il tema di quest’anno, che riprende un verso della poesia di Edgar Lee Masters, George Gray, e che recita “Longing for the sea and yet (not) afraid” (letteralmente: «che anela al mare, eppure (non) lo teme»). La paura di fronte al grande viaggio dell’esistenza. Il desiderio, la nostalgia di una grandezza, da una parte, e dall’altra la riluttanza a scommettere tutto su quella mancanza. Quel not, infilato lì in mezzo al verso del poeta, sta a dire che qui all’Encounter c’è chi pensa non sia per forza così. Che in quest’America in cui gli istituti demoscopici monitorano le “crisi da quarto di secolo”, cioè le vite paralizzate dei venticinquenni già disillusi, la paura non è l’ultima parola.
Ecco, il New York Encounter è questo: un posto dove si condensa la vita di alcuni che, nei quattro angoli degli Stati Uniti, hanno iniziato a vivere qualcosa di diverso. E che, invece di barricarsi nel fortino delle proprie certezze, decidono di venire qui, a Manhattan, nel centro del centro del mondo, a dire a tutti che cosa hanno scoperto. In altre parole: venire all’evento newyorkese è un buon modo per capire cosa sia Comunione e Liberazione negli Stati Uniti. E, perché no, cosa sia CL tout court.
Quindici incontri, cinque mostre, tre spettacoli e 360 volontari. Migliaia i partecipanti. Una tre giorni ispirata esplicitamente al Meeting di Rimini. L’Encounter di quest’anno si è aperto con le parole del poeta di origine texana Christian Wiman, che dal palco del Metropolitan Pavillion ha detto: «Sono scioccato da quanto spesso sono in grado di esprimere a parole un dilemma psicologico, e di come essere in grado di esprimerlo non mi può salvare da esso... Siamo convinti che basti parlarne per essere liberati dalle nostre tensioni. Ma ho capito che questo non è vero. Penso che quello che mi rasserena siano i ricordi di momenti in cui sono stato rasserenato».

Padre Pizzaballa e monsignor Nona

Chi viene al New York Encounter sembra essere attratto da qualcosa che ha a che fare con quanto racconta Wiman. Prendete Curtis e Rachel, una coppia di Des Moines, in Iowa. Hanno chiesto ai cinque amici del gruppo di Scuola di comunità (sono gli incontri di formazione caratteristici dell’esperienza di CL, ndr.) di tenergli i cinque figli per poter venire all’Encounter. Un gesto coraggioso, quello di ammettere il proprio bisogno davanti agli amici. Raro nel Paese che si specchia nell’ideale del self-made man. Ma bisogno di che cosa? «Di recente abbiamo perso un figlio», racconta Curtis: «È stato un periodo difficile e avevamo bisogno di tornare là dove l’ultima volta abbiamo visto con chiarezza il volto di Cristo. Dove abbiamo fatto esperienza di Lui».
Oppure Emily, che nel chiasso della restaurant hall allatta la piccola Juliette coprendosi con uno scialle bianco: «Ho lasciato gli altri tre figli a una famiglia amica. Ci tenevo a venire. Sai, io ho una vita bellissima, ma spesso non sono capace di accorgermene. E mi deprimo. Qui all’Encounter ritrovo persone che mi insegnano a vedere la mia vita per quello che è. E per me è una boccata d’ossigeno».
Al Pavillion si è parlato di povertà, ambiente, economia, immigrazione, ricerca nello spazio. È atterrata l’umanità dell’astronauta Tom Jones. Quella di Priscilla La Porte, sorella di Matthew, morto mentre provava a fermare l’attentatore del Virginia Tech, che nel 2007 uccise 32 studenti prima di togliersi la vita. E ancora l’umanità di Joshua Stancil, ex carcerato che ha ritrovato la fede durante i 18 anni passati dietro le sbarre.
Tutte esistenze ferite. Bisognose, ma liete. Come del resto è quella di don Branson Hipp, faccia da ragazzino, ordinato sacerdote appena sei mesi fa. Abita ad Atlanta e frequenta una piccola Scuola di comunità alla quale partecipano un paio di famiglie. «L’amicizia con loro mi aiuta a capire meglio la mia vocazione», racconta: «Io ho bisogno di questa amicizia. Perché mi riporta al fascino che ho vissuto per la persona di Cristo e che mi ha fatto diventare sacerdote. Dopo un po’ di anni di seminario ero diventato cinico: vedevo solo i lati negativi della Chiesa. L’incontro con le opere di Giussani e con CL hanno fatto scattare in me qualcosa, hanno cancellato la distanza tra la recita del breviario e le cose normali della vita».

Le sale del Metropolitan Pavillion sono tutte un via vai di persone (quest’anno gli ingressi sono stati 8.300 contro i 5.500 del 2015). Tante famiglie che si sono portate i figli anche piccoli. È l’occasione di vedere gli amici che abitano lontano. Per tutti è un grande sacrificio essere qui, ma nessuno sembra pentirsene. Un weekend in questa città costa caro e, in un Paese dove si è molto poco propensi al risparmio, decidere di venire all’Encounter significa fare un vero e proprio investimento. Si vede che l’attrattiva vale il prezzo di volo e hotel. Anche per chi, venendo a fare il volontario, il programma della manifestazione se lo perde quasi tutto. Dalla mostra sul santo californiano Junípero Serra o quella sul mondo piccolo di Guareschi e Jannacci. Lo spettacolo di musica contemporanea sui Salmi o quello di musica e poesia americana.
Tra le conferenze c’è anche quella organizzata da amici medici che si trovano durante l’anno per aiutarsi nel guardare le ragioni del proprio lavoro. Lo stesso accade con un gruppo di insegnanti. Qui si incontrano anche i membri dell’associazione Well-Read Mom (Mamme di buone letture), una rete nata a Crosby, in Minnesota, per iniziativa di una mamma di CL e che oggi coinvolge decine di gruppi in tutto il Paese.
Marta ed Emad parlano arabo tra loro. Lei è nata a Gerusalemme, da una famiglia arabo-israeliana, e vive a Toronto. All’Encounter ha curato una mostra sui cristiani nei campi profughi in Giordania. Lui è egiziano, ha incontrato il movimento qualche anno fa dopo essersi trasferito negli Stati Uniti. In questi giorni fa lo steward di monsignor Amed Shamon Nona, già vescovo di Mosul, oggi a capo della Chiesa caldea in Australia, costretto nel 2014 a fuggire con i suoi fedeli dalla città invasa dall’Isis.

Sono proprio i cristiani perseguitati a dare una scossa ai partecipanti dell’Encounter. Nell’incontro con padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa, monsignor Nona ha ripetuto quello che spesso si è ritrovato a dire in questi mesi: «I terroristi sono spaventati da una vita cristiana felice». La paura, quella del titolo dell’Encounter, qui è come ribaltata.
Un richiamo al nucleo dell’esperienza cristiana che, con altre parole, è arrivato da don Julián Carrón alla fine del suo intervento, momento centrale dell’Encounter. «Un impatto umano è ciò che può scuotere oggi la gente. Non solo una serie di valori, non solo una dottrina o una predica. Un avvenimento che ha in sé l’eco dell’avvenimento iniziale. Nel quale noi possiamo vedere l’avvenimento iniziale». E qui il sacerdote spagnolo batte la mano sul tavolo: «Ora! Nel presente. Altrimenti l’avvenimento cristiano è morto. Senza nessuna possibilità di ridestare il desiderio dell’uomo e soddisfarlo».
E questo impatto umano capita di sentirselo arrivare addosso anche all’Encounter. Ashley e Nate, ad esempio, sono una giovane coppia di Omaha, in Nebraska. Nate è cresciuto in una famiglia protestante ed è diventato cattolico prima di sposarsi. Lui è malato di fibrosi cistica. Stare a casa sarebbe stato molto più comodo, oltre che economico. Ma lui a New York, quest’anno, voleva esserci. Anche a costo di non passare il Natale con i suoi genitori.
A proposito di genitori: all’Encounter è venuta anche sua madre. Quella che non aveva preso molto bene la sua “sbandata” per il cattolicesimo. In questi anni ha fatto buon viso a cattivo gioco. Una brava donna, seria. Devota. Volontaria in una comunità di recupero. Ma Nate e sua moglie l’hanno invitata senza aspettarsi che avrebbe accettato. «Sono stata molto con mia suocera durante il weekend», racconta Ashley: «Qualche volta mi aveva parlato della sua tendenza a “non desiderare”, a non chiedere troppo dalla vita per paura di essere delusa dalle cose. Mi ha colpito che fosse la stessa esperienza da cui era passato anche Joshua, il carcerato. Ma tutti gli incontri tornavano con insistenza sulla possibilità di vincere questa paura. Mia suocera era davvero colpita».
La signora ha comprato una copia de Il senso religioso di don Giussani. Ne ha letto la metà durante la notte. Ha girato per l’Encounter con gli occhi sgranati. Prima di prendere l’aereo per il Nebraska, ha confidato al figlio e alla nuora: «Lo userò come testo con le ragazze della comunità di recupero».