Ritorno a Damasco

L’amicizia con un collega italiano. Poi, in Russia, l’incontro con CL. Storia di come Soulaiman, medico, ha scelto di rientrare nel Paese in guerra... e far conoscere a suoi amici ciò che gli ha cambiato la vita (da Tracce, aprile 2016)
Luca Fiore

Una bomba, là fuori. Arriva dalla zona di Jobar, quella sotto il controllo dei terroristi. La casa è piccola. I bambini guardano. Vanno ad abbracciare la mamma. «Papà, cos’è stato? Cosa dobbiamo fare? Stiamo per morire?». Un altro colpo. Tutta la paura di un Paese intero, la Siria, è racchiusa in quei pochi metri quadrati. I due piccoli gridano e corrono per casa. «Calma, Dio è con noi. Ci proteggerà». Si siedono per terra, nel breve corridoio. Un altro colpo. Chi avrà colpito dei vicini? Sarà morto qualcuno? Questa zona di Damasco è la più pericolosa. Lì, nel centro storico, la gente vive quasi come se la guerra non ci fosse. Ma qui... Qui il rumore del conflitto fa tremare le pareti. Quando sono ancora in piedi. «Mi sentivo come dentro a un tunnel buio in cerca di un’uscita da questo incubo. Poi, d’un tratto, ho visto l’icona di Gesù nella stanza di fronte. Vedo il suo volto senza paura che mi guarda e mi dice: “Non temere, io sono qui con te e per te”. Li tenevo stretti a me e insieme abbiamo aspettato che tutto finisse. Mentre aspettavo, mi sono tornati alla mente gli istanti in cui avevo visto la presenza di Dio nella mia vita. Il cammino fatto con gli amici in Russia. Quegli istanti mi hanno reso forte».
Da dove iniziare a raccontare la storia di Soulaiman? Dall’incontro nel 2008 con Andrea, medico di Milano conosciuto a Damasco per lavoro? Oppure dalla richiesta di iscrizione alla Fraternità di CL, firmata lo scorso agosto prima di tornare definitivamente sotto le bombe in Siria, dopo tre anni passati in Russia?
Incominciamo da una sera del febbraio 2012. Mosca, via Pokrovka 27, Biblioteca dello Spirito. Fuori il termometro segna parecchi gradi sotto zero. Soulaiman è in Russia da tre mesi. Conosce soltanto qualche parola di inglese. La moglie e i due figli sono rimasti in Siria. Jean-François Thiry lo accoglie, ma non capisce che cosa vuole. Pensa che gli stia chiedendo un lavoro. Ma non è così. Soulaiman un lavoro già ce l’ha: è medico, ematologo. È arrivato a Mosca per il perfezionamento che avrebbe voluto fare in Italia. Ma dall’inizio della guerra non erano rimaste che tre destinazioni possibili: Cina, Iran e Russia. Ha scelto quell’ultima per motivi che possono sembrare ovvi. Ma uno di questi è il pensiero: «Lì, almeno, qualche cristiano ci sarà». A mandarlo alla Biblioteca dello Spirito è stato Andrea, appunto, conosciuto a Damasco qualche anno prima. Erano diventati amici. «Ero colpito da come guardava i pazienti e dal modo in cui guardava me. L’avevo persino invitato a casa mia a conoscere la mia famiglia», racconta Soulaiman. Così, dopo giorni di sconforto moscovita - da Damasco arrivano notizie di colpi di mortaio e lutti -, scrive all’amico italiano che gli dà questo indirizzo: «Vedrai, lì troverai dei miei amici. Anche a loro, come a me, interessa essere cristiani in modo serio». Dalla Biblioteca dello Spirito esce con un invito a Scuola di comunità.

Come un principe.
«Ho iniziato ad andare ai loro incontri, ma a causa della lingua le conversazioni erano povere. Eppure con loro mi sentivo sicuro e amato. Il loro sguardo su di me era lo stesso che avevo visto in Andrea. A Pasqua sono andato a cena nella casa delle Memores Domini. Non capivo bene che cosa fossero, ma lì ho saputo che anche Andrea era un Memor. Mi sono sentito trattato come un principe, accolto. Ho detto loro: “Non so come voi serviate Dio, ma mi avete trasmesso un senso di appartenenza e presenza”. Quella sera ho pianto dalla gioia».
Passano i mesi e Soulaiman conosce il movimento e sente di esserne attratto. «La mia vita ha iniziato a cambiare e ho iniziato vederne la bellezza. La situazione in Siria peggiorava, eppure non ero più senza speranza». Nell’estate del 2013 può tornare in patria per una vacanza. «Portavo nel cuore un nuovo spirito e una nuova vita», racconta: «Ero pronto a lavorare per i miei fratelli in Siria, ma allo stesso tempo mi domandavo: come posso mostrare l’amore di Dio a una madre che ha perso il figlio, o al figlio che ha visto i genitori uccisi da una bomba, o a una famiglia che ha dovuto abbandonare tutto? Io avevo incontrato il movimento, ma come potevo testimoniare l’amore che sentivo su di me?».
I mesi passano. Soulaiman è trasferito a San Pietroburgo. Anche lì viene accolto dalla piccola comunità di CL, che viene scossa dalla sua curiosità e dal suo entusiasmo. In quei mesi arriva in Russia, per un incontro don Julián Carrón. Il medico siriano riesce a raccontargli del dramma che sta vivendo, della situazione complicata nel suo Paese, della sua famiglia. Attende dal capo di CL una parola che lo rinfranchi, che gli tolga un peso dal cuore. Ma Carrón taglia corto: «Tu devi maturare nella fede». Ci vorranno settimane per riprendersi da quella risposta. «Ma come?», si domandava: «Si rende conto della mia situazione? E mi dice che devo maturare?». Poi quelle parole cominciano a lavorare come un tarlo. Diventano il tema delle discussioni con le amiche Memores di Mosca.
Quando, nel Natale del 2015, l’amico Andrea lo va a trovare in Russia, gli chiede se vuole un aiuto per trasferirsi in Italia facendo arrivare anche la sua famiglia. «Gli ho risposto che volevo tornare a casa mia, in Siria. Lì c’erano molte persone che attendevano qualcosa da me. Non solo mia moglie e i miei figli, ma anche amici e pazienti. Capivo che mi era chiesto questo e che, grazie all’incontro con i nuovi amici, avrei avuto anche la forza per farlo».
Tornato a Damasco, la prima cosa che desiderava fare era cambiare casa e spostare la famiglia in un quartiere più sicuro. Ci ha messo poco a capire che non aveva il denaro per farlo. Così ogni mattina, per andare a lavorare, deve attraversare una zona controllata dai terroristi. «Sono sette minuti di paura. La croce che dondola appesa al retrovisore mi dà forza e speranza. A volte mi tornano in mente i volti delle sorelle e dei fratelli conosciuti in Russia: le loro voci e i loro occhi che parlano. L’immagine del loro sorriso mi afferra e mi ricorda Gesù».

Amici d’infanzia. Il lavoro in ospedale è una sfida tutti i giorni. Mancano le medicine. «È un grande dolore per me. Guardo queste persone, le vedo morire. Vorrei fare qualcosa per loro, ma non posso. Con Tareq e Bashar, due amici di infanzia, abbiamo deciso di aprire una piccola farmacia per raccogliere le medicine che riusciamo a trovare. Siamo all’inizio, ma vogliamo iniziare presto». Il turno finisce alle 16. Poi Soulaiman va in un quartiere di Damasco dove sta aprendo una piccola clinica privata. Alle nove di sera rientra a casa in tempo per dare la buona notte a Elias e Mishia, i figli di 13 e 11 anni.
Quello della farmacia non è l’unico progetto con Tareq e Bashar. Prima di Natale hanno organizzato una festa per 300 bambini. «Con l’aiuto di Avsi, abbiamo regalato cappelli e vestiti caldi per l’inverno. E abbiamo parlato della presenza di Dio nella nostra vita. Un’altra festa l’abbiamo fatta con alcune famiglie di profughi, scappate da altre zone del Paese. E poi abbiamo portato i regali e fatto l’albero di Natale per i bambini del reparto di Oncologia». Sui cellulari delle amiche di Mosca è arrivato un video con bambini che ballano a ritmo di un tamburo. La stanza è illuminata soltanto da una torcia elettrica. Un uomo è vestito da Babbo Natale, uno da pagliaccio. I bambini ridono. Fuori c’è la guerra.
«Ogni giovedì ci troviamo con un gruppo di ragazzi delle superiori al Centro cristiano», racconta Soulaiman: «Parliamo della fede. Ogni tanto porto da leggere alcuni paragrafi dei testi che leggevamo alla Scuola di comunità a Mosca. I ragazzi sono grati di poter leggere queste cose. Stiamo preparando con loro qualcosa per il 21 marzo, che qui è la festa della mamma».
I primi ad essere incuriositi dalla vitalità di Soulaiman sono stati proprio Tareq e Bashar. Subito gli hanno chiesto perché mai avesse deciso di tornare in Siria. E lui ha risposto che aveva incontrato degli amici speciali. E che l’amicizia con loro gli aveva fatto capire che il suo compito era tornare. In realtà, nessuno in Russia ha mai avuto il coraggio di consigliargli di tornare sotto le bombe. Eppure Soulaiman ha iniziato a desiderarlo.

Giussani su Youtube. «Tareq e Bashar mi hanno chiesto cosa fosse questo movimento. Mi hanno chiesto come avesse potuto cambiarmi così. Io ho provato a spiegarglielo. Ogni tanto leggo loro qualcosa dei testi che mi arrivano di Giussani o Carrón. Un giorno mi hanno detto che volevano sapere com’era fatto don Giussani, così gli ho fatto vedere un breve filmato su YouTube e loro erano molto contenti». Ma evidentemente quel breve video non basta, se è vero che Bashar, tornato a casa, è andato a cercare su internet altro materiale su don Giussani. Trova un altro video di dieci minuti, sottotitolato in arabo. «Mi ha detto che si capiva che, nonostante l’età, quell’uomo, quando parlava della sua esperienza, aveva una grande energia».
La curiosità rimane. Nei prossimi mesi ci saranno gli Esercizi della Fraternità in Libano. Soulaiman non potrà andare. Ma Tareq e Bashar hanno deciso di esserci.