Misha e Anja

Se le parole non bastano

Per spiegare alla sua famiglia l’incontro con CL, Misha porta a Gomel’ trenta amici. Ecco cosa è successo in quei giorni. E le domande nate. «Cosa significa per noi seguire un carisma cattolico?»... (da Tracce, aprile 2017)

Luca Fiore

«Torno a Gomel’ due o tre volte l’anno. Lì ci sono la mia famiglia e i miei amici, che non avevano idea di che cosa avessi incontrato». Misha studia Teologia in una università ortodossa di Mosca e sta scrivendo una tesi di dottorato sulla pedagogia di don Giussani. Gomel’, con il suo mezzo milione di abitanti, è la seconda città della Bielorussia. Si trova nel Sud Est del Paese, a 200 chilometri da Chernobyl. È stato uno dei centri più colpiti dalla nube radioattiva del 1986.
«Quando rientravo a casa raccontavo un po’: “Ho conosciuto amici italiani cattolici” oppure “sono stato al Meeting di Rimini”. Provavo a spiegare, ma nelle loro teste non appariva nessuna immagine precisa. Le parole che usavo non bastavano per descrivere la novità entrata nella mia vita».
Una delle tante iniziative nate dalla “Comunità volante”, il gruppo di cattolici e ortodossi che seguono l’esperienza di CL in diverse città di Russia, Bielorussia, Ucraina e Italia, è la mostra sul Metropolita Antonij di Suroz, realizzata per il Meeting 2015 (v. Tracce, n. 7/2015). Ne è stata tratta una versione in russo, che in questi mesi sta girando nelle città dell’ex Unione sovietica: Minsk, Vilnius, Grodno, Kiev, Odessa, Karaganda, Mosca, Baranovichi. «Ho visto che i miei amici usavano quella mostra per raccontare ciò che era capitato loro nell’incontro con il movimento. Così ho chiesto che fosse esposta anche a Gomel’ e che qualcuno venisse con me a spiegarla».

L'incontro con don Carrón alla Biblioteca dello Spirito

Quello che succede lì a Gomel’, nella seconda metà di ottobre, è qualcosa che segna la vita della “Comunità volante”. I giovani ortodossi si rendono conto non solo di aver incontrato un modo appassionante di vivere la fede, ma che si tratta di un’esperienza comunicabile anche dentro la loro Chiesa. È uno dei temi centrali dell’Assemblea responsabili di CL con don Julián Carrón, che si è svolta a marzo a Mosca. Un passo di consapevolezza cresciuto su tante domande. «Da dove nasce la nostra storia?». «Che cos’è davvero CL?». «Cosa significa per noi ortodossi seguire un movimento cattolico?». E poi: «Cosa vuol dire per CL che noi ortodossi ci riconosciamo nel carisma?». E su questo punto la guida di CL ha risposto: «Custodisco la domanda. Voglio rispondere continuando l’amicizia con voi. È solo nell’esperienza che si capisce quello che ci accade. Sono certo che ci aiuterete a comprendere di più, con la vostra sensibilità, il dono che ci è stato fatto con il carisma di don Giussani».
Ecco, forse per capire un po’ di più occorre proprio tornare a quanto successo a Gomel’. «Una settimana prima dell’inaugurazione sono arrivati Aleksandr Filonenko da Kharkov e Dmitri Strotsev da Minsk per un incontro di presentazione», racconta Misha: «E Filonenko ha detto: “Preparatevi, perché quando io me ne andrò accadrà qualcosa di incredibile. Arriverà una compagnia di amici che vi farà vedere la vera origine di questa mostra”». Quando si dice: creare delle aspettative. Si presentano trenta ragazzi tra i 18 e i 25 anni, da Russia, Bielorussia e Ucraina. Non fanno nulla di particolare. Eppure, quel che dicono, come lo dicono e, soprattutto, come stanno insieme, in qualcuno fa breccia.
Tra gli amici che Misha si è portato, oltre alla fidanzata Anja e all’inseparabile Roman, c’è anche Angela. Lei non sa cos’è la comunità, men che meno CL. «Non avevo nulla da perdere, così ho detto di sì all’invito di Misha e Roman. A Gomel’ avevamo i turni per spiegare la mostra: per il resto, passeggiavamo, mangiavamo e bevevamo insieme. Ma una sera, mentre cantavamo, ho provato una felicità così grande che non riuscivo a spiegarmi da dove venisse. Cos’era che mi prendeva così tanto?».
Angela partecipa all’assemblea che Misha organizza alla fine del weekend a Gomel’: «Mi trovavo insieme a quei nuovi amici. E in quel momento mi sono chiesta: ma se questo non è Dio, cos’è allora?». Inizia a frequentare la Scuola di comunità con Misha e Roman: «Non sapevo nulla del movimento e di don Giussani, ma ho pensato che, se quella strana felicità è legata a loro, non posso non andare fino in fondo per capire. Dio inizia a rispondere così ai bisogni di qualcuno e uno non può continuare a vivere come prima».

Presentazione della mostra sul metropolita Antonij di Suroz

All’assemblea c’è anche Yaroslav, detto Slava, il fratello minore di Misha. «Da quando avevo iniziato a prendere sul serio il cristianesimo, ero stato duro con lui», spiega Misha: «Lo rimproveravo per la musica che ascoltava, criticavo le sue scelte e lo invitavo, un po’ moralisticamente, a venire in chiesa. E lui mi diceva di lasciarlo perdere». In quei giorni, però, la casa è piena di gente e Slava non riesce a sottrarsi a quella presenza ingombrante. Durante l’assemblea, Misha gli chiede che cosa avesse vissuto in quei giorni. «Ho sempre pensato di essere troppo cattivo per essere credente. Invece, stando con voi, all’improvviso ho visto che non sono cattivo».
Misha torna a Mosca con il cuore pieno. «La mia famiglia e i miei amici hanno visto con i loro occhi ciò che avevo sempre faticato a spiegare a parole». Poi Anja dice una cosa che gli spalanca un mondo: «Mi sono resa conto che con noi non c’erano le persone meravigliose con cui avevo incontrato la comunità: gli italiani cattolici e Filonenko. Lì ho visto che stava accadendo la stessa bellezza che di solito prende vita tra noi a Mosca. Ma eravamo solo noi studenti. Fino a quel momento non avevo capito in che termini la nostra comunità fosse legata al movimento. Pensavo che la gioia nascesse dalla possibilità di stare con persone speciali. A Gomel’, invece, siamo stati noi a portare quella cosa così straordinaria. Stava riaccadendo a noi e attraverso di noi. Inizia a essermi chiaro che se non ci fosse stato don Giussani, tutto questo non ci sarebbe accaduto». In lei nasce il desiderio di capire davvero che cosa le sia successo nell’incontro.
È da questa esigenza che prende vita il progetto di una mostra su don Giussani visto “con gli occhi degli ortodossi”. La “Comunità volante” si è mossa subito dividendosi in gruppi: Minsk, Mosca, Kharkov, Kiev e Milano. La prima fase del lavoro è che in ciascuna città si discuta su una serie di testi fondamentali di don Giussani.

Tatjana Kasatkina e Dmitry Strotsev

A Mihail tocca presentare alcune pagine de Il cammino al vero è un’esperienza e “La ragionevolezza del cominciare”, il primo capitolo di Si può (veramente?!) vivere così?. Lui ha vent’anni, è stato cacciato da un’università per non aver dato abbastanza esami, e dalla seconda se ne è andato prima che finisse allo stesso modo. Ora lavora come cameriere. Gli amici di Mosca lo conoscono come uno a cui piace scherzare sempre. «Il primo testo è un po’ complicato. Ma il secondo è pazzesco», dice Mihail: «Giussani spiega che è ragionevole cominciare un cammino che non conosci per seguire qualcosa di bello e di vero che ti è capitato. Se non lo segui, contraddici te stesso. È quello che è capitato a me. Non capisco tutto, non so cosa succederà. Ma non posso non andare dietro a quel che mi è successo».
Lydia, di Kiev, ha lavorato invece sul tema dell’obbedienza. Un problema rovente nel confronto tra Chiesa ortodossa e modernità, visto che la pastorale è incentrata sul rapporto personale tra fedele e sacerdote. Bisogna sempre fare ciò che dice il padre spirituale? E se sì, perché? «Dopo anni nella Chiesa sono diventata allergica a questi temi. Invece qui si parla del legame necessario tra amicizia, libertà e obbedienza. Meraviglioso. Giussani mi ha ridonato una parola a me cara». E Lydia, questo, lo racconta anche al suo padre spirituale...
Tatjana è di Kharkov e ha conosciuto Filonenko nell’orfanotrofio in cui è cresciuta (v. Tracce, n. 1/2013). Oggi abita nella casa per disabili sostenuta da un progetto di Avsi. A lei tocca il testo L’io rinasce in un incontro. La sua frase ricorrente è «io non capisco niente», e i suoi amici, in questa circostanza, sono pronti a prenderla alla lettera. E invece lei dice che quelle parole descrivono bene ciò che è successo alla sua vita. Parla del sacerdote italiano come se fosse lì presente, uno alla pari, ma più capace di spiegare le cose: «Bravo Giussani! Questa l’hai detta proprio bene...».

I curatori della mostra all’assemblea di Mosca hanno incontrato don Carrón. Nadia, di Minsk, dice: «A volte penso che la mostra non dovremmo farla su Giussani, ma sulle persone che abbiamo incontrato: don Pino, Franco Nembrini, Silvio Cattarina, le Memores di Mosca. Dovremmo parlare di Giussani, raccontando ciò che abbiamo visto attraverso questi volti. Senza dimenticarci che il vero tema della mostra è Cristo. Ma capisco che qui si tratta di inventarci una nuova lingua». Anche qui Carrón non ha dubbi: «Vino nuovo in otri nuovi. Giussani ha passato la vita a cercare le espressioni giuste per descrivere la novità che stava vivendo. Ti auguro di avere la metà della sua libertà. E se non trovi parole tue, usa le sue. Questo non blocca la creatività, ma la esalta. Per comunicare il cristianesimo è necessario che esso riaccada e sia trasmesso in modi sempre nuovi».