Victor Primc con suor Maine Oporto

Argentina, la vita come viene

Non era mai stato nelle favelas di Buenos Aires. Poi, l’incontro con chi ci vive: gli “ultimi” da cui pensava di essere salvato. La storia di Victor Primc, volontario all’Hogar de Cristo. Dove si scommette tutto su due princìpi del cardinale Bergoglio...
Alessandra Stoppa

Victor Primc è un bioingegnere argentino che da qualche anno collabora con i curas villeros, i preti delle favelas di Buenos Aires diventati “famosi” grazie a Bergoglio. La vita di Victor non c’entrava niente di niente con la gente delle villas. Come la maggior parte degli argentini, influenzato dai media, pensava che “là dentro” fossero tutti ladri, violenti e drogati. La prima volta che ci ha messo piede stava attento a ogni cosa, cercava solo un motivo per non tornarci più. Oggi dice: «Io non sapevo di essere come mi hanno fatto essere loro». La scoperta di sé stesso attraverso gli “ultimi”. Gli ultimi al mondo da cui si sarebbe aspettato qualcosa per la sua vita. «E invece me l’hanno salvata».

Ha raccontato di recente la sua esperienza al Punt Barcelona, in una tavola rotonda sul tema della “povertà”, seguendo la profondità di cammino che il Papa sta facendo fare alla Chiesa. C’è un modo di dire in Argentina: «Dio è dappertutto. Ma ti ascolta solo a Buenos Aires». Solamente se arrivi lì, hai le possibilità di farti una vita. «Il problema, però, è se Buenos Aires ti accoglie», precisa Victor. Per migliaia, centinaia di migliaia di persone, arrivate da fuori in cerca di un destino buono, non è andata così e, già dagli anni Cinquanta, in mezzo alla metropoli hanno iniziato a crescere le villas, dove il tempo si è fermato. «È un problema di tutte le grandi città di oggi: la gente di quei quartieri è rifiutata. Se esce, è un corpo estraneo, invisibile. La vita li ha portati lì e, anche se è brutto e violento, in quel posto loro esistono».

Padre José Maria di Paola, detto padre ''Pepe''

Victor da qualche anno è volontario all’Hogar de Cristo, nato nel 2008 come proposta della parrocchia della Villa 21, dove padre "Pepe" Di Paola e gli altri preti hanno fatto scuole, mense, asili, radio... La parrocchia è il centro della vita anche civile. Nel tempo, sempre più ragazzi finivano nella droga. Un problema antico che è esploso con la crisi del 2001: i narcotrafficanti hanno trovato nel vuoto lasciato dalla Stato uno spazio dove commercializzare più facilmente la cocaina, dove “cucinarla” per venderla in città e anche per elaborare il paco, la pasta base, molto meno cara e molto più tossica, fatta con scarti di cocaina, kerosene o benzina, veleno per topi... Ma la radice del «flagello», come lo chiamano loro, non è la droga in sé: è l’essere ai margini.

«Non si tratta di combattere la tossicodipendenza», spiega Victor, «ma di rispondere a un problema molto complesso». E l’Hogar è nato per servire questa complessità, cambiando sempre, creando una rete formale e informale di accoglienza, allargandosi anche ad altre città argentine. Il nucleo essenziale è il Centro barrial, il Centro del quartiere, che accoglie ogni bisogno: «I più vengono non perché vogliono lasciare la droga», racconta Victor, «ma perché hanno fame, hanno freddo, sono malati di tubercolosi, di Aids...».

Una delle ''villas'' di Buenos Aires

Il primo Hogar lo aveva voluto inaugurare il cardinale Bergoglio, lasciando ai preti due indicazioni, su cui loro hanno scommesso tutto: «Prendere la vita come viene» e il «corpo a corpo». Sono diventati i princìpi dell’Hogar, un metodo che sorge tutto dal rapporto, irripetibile, con la singola persona. «Non c’è una risposta predefinita, ma il cammino di ognuno», continua Victor: «Abbracciare la vita dell’altro vuol dire stare al suo fianco, per come si può e per come lo permette. E solo perché possa essere felice». Vuole anche dire che c’è chi passa per l’Hogar non una, ma quattro, dieci, venti volte senza decidere di cambiare.

Victor sa che la decisione non è automatica. Ha dovuto prenderla anche lui. «Innanzitutto, lasciare i miei pregiudizi». Verso quella gente e pure verso quei preti che pensava facessero politica.

Un giorno, invitato da un’amica, va a una grigliata nella parrocchia della villa e incontra quei sacerdoti: «Erano degli uomini, uomini veri, che al contrario di me non avevano nulla. Ed erano felici, come io non lo ero». Sono tanti flash che ha ancora stampati nella memoria dopo anni. Padre Pepe che alla fine della messa saluta tutti, uno a uno, come un padre i figli: «Ho pensato: fa bene, questa gente ha bisogno. Ma quando è stato il mio turno, mi ha salutato allo stesso modo. Senza conoscermi». O una frase all’omelia: «C’è tanta gente che viene qui ad aiutare, e fa bene, perché abbiamo tanti bisogni. Ma noi abbiamo bisogno soprattutto di Cristo».

I ragazzi della ''granja''

A fine serata, timidamente, Victor si propone di aiutare a controllare la scrittura di un progetto per la raccolta fondi. Pepe gli dice: «Ti ringrazio. Ma allora devi venire a vedere l’Hogar. Perché io voglio che ogni parola sia reale. Non voglio soldi per ciò che non facciamo». «E io, che non volevo andare, ho detto di sì», racconta Victor: «Perché avevo bisogno».

Lo dice con sincerità a padre Charly Olivero, quando si trovano per parlarne: «Io non credo nel vostro progetto. Siete dei nani che volete schiacciare il piede di un gigante: il narcotraffico sta vincendo dappertutto. Ma ho deciso di aiutarvi. Perché voi non avete niente e siete contentissimi. E io voglio capire perché». Charly gli risponde: «Hai ragione. Forse non possiamo fare tanto, ma se una sola di queste persone si salva abbiamo fatto più di quel che possiamo. E hai ragione anche sul resto. Io sono sempre più contento».

Victor inizia ad andare all’Hogar, tremante, perché non sa cosa fare né cosa dire. Tutto è così lontano da lui. E anche i ragazzetti gli fanno paura. I veterani gli dicono: «Tu non parlare e non giudicare nessuno. Ascolta». Lui segue il consiglio, mentre si coinvolge sempre più, fino a dover tenere il suo primo incontro con quelli della granja, la fattoria dove passano alcuni mesi di allontanamento per disintossicarsi. L’unica cosa che riesce a chiedere è: «Cosa vi è successo per essere qui?». E loro iniziano a dirgli tutto il male che hanno visto e fatto. «Erano stati violentati, avevano rubato, avevano ucciso... Io li ascoltavo e pensavo: ma come può esserci una salvezza per loro? E mi ha attraversato anche un altro pensiero: non se la meritano. Ecco, in quel momento, ho avuto paura di me stesso». Ha sentito il nulla che lo prendeva. «Poi, di colpo, mi sono reso conto di una cosa, che non stavo più guardando: io ci sono, loro ci sono. Siamo qui perché vogliamo essere felici. E perché è successo un fatto, nella loro vita come nella mia. Un fatto. La salvezza è già accaduta». Cos’è questa salvezza per te? «Riconoscere Cristo che mi si presenta».

Victor con i ragazzi dell'Hogar de Cristo mentre cucinano

Un giorno arriva alla granja con le scarpe tutte infangate, perché era piovuto molto e aveva fatto un pezzo a piedi. Quando si siede per l’incontro con i ragazzi, si avvicina Pablo, faccia che fa paura e una gamba sola. «Mi guarda e mi dice: “Sei tutto sporco. Togliti le scarpe che te le lavo”. Io: “No Pablo, facciamo il gruppo, siediti che iniziamo. Tanto poi esco e me le sporco ancora”. Lui: “No, tu da qui vai via con le scarpe pulite”». Iniziano a discutere. Victor è convinto che non abbia voglia di fare il gruppo. «A un certo punto, mi guarda dritto negli occhi, e mi dice: “Tu sai chi sono io?”. Sono saltato su. “Io sono una persona grata perché tu hai lasciato le tue cose per venire ad accompagnarmi”». A questo fatto pensa ogni giorno: «Chi mi stava facendo quella domanda? Io sapevo chi era Pablo. E sapevo anche di avere bisogno di essere abbracciato. Ma non me lo aspettavo lì, da lui. Cristo è una carne che ti viene incontro».

Di quella ragazza magrissima, tutta truccata male, dall’aria folle, invece non ha mai saputo nemmeno il nome. È arrivata un giorno al Centro barrial. Dopo averle parlato, lo psicologo va da Victor: «Hai del tempo? Lei sta molto male, ha l’Aids, per favore portala in ospedale e falla ricoverare». Era un venerdì, alle cinque di pomeriggio. Vanno, ma mentre aspettano al pronto soccorso lei vuole andarsene. Victor la convince a restare, poi arriva il medico e la ragazza entra, da sola. «Esce e mi dice: “Vado a casa. I medici non possono ricoverarmi”. Io ho iniziato ad agitarmi. Non le credevo e, soprattutto, dovevo fare quello che mi era stato chiesto. Allora chiamo lo psicologo e gliela passo al telefono. Dopo che si parlano, lei mi ridice: “Vado a casa”. Io insisto: ma vi siete accordati così? Sei sicura? Però, ti porto io a casa... A quel punto, lei mi guarda: “Signore, io la ringrazio, ma vado. Lei stia tranquillo e Dio la benedica”. Chi mi stava dicendo così? A me, che ero tutto preoccupato dell’esito...».

Il giorno dopo, racconta allo psicologo quel che è successo, e si sente dire: «Victor, tu hai fatto tutto. Non so se quella ragazza tornerà mai, però lei ora sa che è accolta quando vuole. La cosa più importante della vita è essere accolti».

La cappella Nuestra Señora de Caacupé nella ''Villa 21''

Carlitos, la prima volta che Victor l’ha incontrato, aveva 22 anni. Quando è uscito dalla granja è ripiombato nella droga, è tornato a rubare, persino a sua madre, e anche all’Hogar. «Ma un giorno lo trovo lì fuori. Gli altri mi dicono che ha il divieto di entrare. Mi spiegano che forse l’unico modo perché smetta con il consumo è che la polizia lo arresti». Allora Victor esce e lo raggiunge tutto sicuro («quante volte si cade nello stesso errore»), e gli dice: «Vieni Carlitos, che ti porto in carcere». Il giovane sa bene cos’è la prigione, si rifiuta. «Ci mettiamo a discutere a lungo. A un tratto passa un ragazzo e gli fa: “Carlitos, dove dormi stanotte?”. “In strada”. “Ma c’è freddo!”. Quello si toglie la sciarpa e gliela dà. Io mi sono sentito male. Proporre il carcere a un ragazzo che ha freddo».

Non lo ha mai più visto. Dopo qualche mese, viene a sapere che è morto. Va all’obitorio e scopre che Carlitos aveva conosciuto una ragazza ed era andato a vivere con lei, e che aveva iniziato a lavorare in una pizzeria e così si era comprato una bici... Un camion lo ha investito. Quando lo hanno portato d’urgenza in ospedale, ha detto alla sua ragazza: «Voglio solo una cosa, che dici alla gente dell’Hogar che li ringrazio di come mi hanno accompagnato».

Il mondo propone un cammino che va in alto, ed è per pochissimi. «Il cammino di Gesù è verso il basso», dice Victor: «Lui lo ha percorso ed è rimasto lì. Per questo Lo troviamo nei poveri». E non perché oggi va di moda con il Papa. «Il motore di tutto è il bisogno vissuto fino in fondo, il mio bisogno». Per lui è la strada iniziata per grazia otto anni fa e che continua: «Mi fa essere me stesso come non immaginavo. E mi insegna ad accettare ciò che mi viene dato: non mi permette di essere teorico. È facile pensare a Cristo come se non fosse nella realtà: nelle persone, nella carne di chi hai davanti. Ma quando non Lo vedo, sono io fuori dalla realtà».