Don Julián Carrón

Disarming Beauty. Il posto della fede

Nell’avamposto del mondo post-cristiano, la prospettiva de "La bellezza disarmata" di Julián Carrón si inserisce nel dibattito USA sul ruolo dei cristiani, spesso al bivio tra "culture war" e isolamento. Da Tracce di settembre
Mattia Ferraresi

La bellezza disarmata è arrivata in America in punta di piedi e subito ha preso a scardinare le categorie del dibattito sulla fede nel mondo contemporaneo. Disarming Beauty, la traduzione inglese del libro di Julián Carrón, è stato pubblicato in un momento in cui il dialogo pubblico sulla pertinenza della fede rispetto alle esigenze della vita è infiammato, anche in virtù di una serie di mutamenti sociali, politici e giuridici che nel giro di pochi anni hanno trasformato la «nazione con l’anima di una chiesa», come la chiamava G.K. Chesterton un secolo fa, nell’avamposto del mondo post-cristiano, per usare un termine ricorrente nei titoli e nelle copertine di oggi. Nell’epocale “crollo delle evidenze” di cui parla Carrón, l’America è un passo avanti rispetto al resto dell’Occidente.

La Catholic News Agency osserva che «in risposta alla decrescente influenza del cristianesimo nella cultura secolarizzata, il leader di un movimento ecclesiale globale fa una dichiarazione provocatoria: questo è in realtà un grande momento per la Chiesa». L’agenzia, in un’intervista con l’autore, sottolinea il fatto che il responsabile del movimento, contrariamente a molti, insiste sull’opportunità di verifica della fede che questa fase della modernità offre: «Il fatto che la Chiesa non è più la maggioranza morale è liberante; ci permette di riscoprire il cuore dell’evento cristiano», dice Carrón nel dialogo con Marianne Medlin e Perry West, riprendendo l’americanissima espressione moral majority, nata negli anni Settanta dall’iniziativa del ministro battista Jerry Falwell per mobilitare il mondo cristiano sulle questioni etiche e sociali. In un articolo di America, rivista dei gesuiti americani, Jason Blakely scrive: «La secolarizzazione non è nemica del cristianesimo, ma è un’opportunità storica per la Chiesa per vivere la sua testimonianza in modo autentico e disarmato. Ma Carrón specifica anche che la libertà individuale difesa dalle democrazie secolarizzate non è semplicemente un inconveniente necessario per evitare la tentazione dell’egemonia. Nella prospettiva cristiana, “la libertà è il più grande dono che i cieli abbiano dato agli uomini”».

Uno degli articoli della stampa americana su ''Disarming Beauty''

Nella situazione del Nuovo Mondo, la sfida radicale che emerge nel saggio di Carrón è, se possibile, ancora più pertinente rispetto a quella che si pone in Europa. Leggi, decreti e sentenze sulla vita, sul matrimonio, sulla libertà religiosa e sull’educazione hanno sanzionato mutamenti culturali in atto da decenni e hanno messo sotto pressione l’atomizzato panorama cristiano, stretto fra la tentazione dell’assimilazione e quella che appare come un’impossibile resistenza alle maree del mondo. Anche la divisione politicista fra cristiani “progressisti” e “conservatori”, una riduzione comune nella stagione della polarizzazione estrema, sembra aver perso di significato. L’elezione del più anomalo dei presidenti, Donald Trump, avvenuta anche grazie al massiccio sostegno degli evangelici e al voto della maggioranza dei cattolici, ha ulteriormente complicato lo scenario. Sono cambiate le coordinate e le faglie di rottura. La culture war, la battaglia lanciata negli anni Novanta per contrastare la deriva secolarista, è irrimediabilmente perduta, e una pletora di intellettuali cristiani ora non può evitare di interrogarsi sul posto della fede nella società. Disarming Beauty si trova così a dialogare con autori e volumi che in modi diversi denunciano la marginalizzazione dell’esperienza della fede, e offrono idee, talvolta perfino strategie militanti, per riprendere la battaglia o almeno per siglare un onorevole armistizio.

Ma la bellezza di cui parla Carrón è, appunto disarmata, non è equipaggiata per lo scontro culturale e ideologico, invita innanzitutto a riscoprire la vera natura della fede e della struttura umana, svuotata da quello che Giussani chiamava “effetto Chernobyl”. In questo senso, il deterioramento delle strutture che tradizionalmente dettavano un modo di vita ispirato ai valori cristiani (in America particolarmente rapido e profondo), per Carrón è l’occasione per rilanciare la verifica della fede, non per negoziare le condizioni della resa. Questo cambio di prospettiva ha colpito l’immaginazione degli osservatori americani in un dibattito segnato da tonalità oscure e da profezie di una fede completamente sradicata dal mondo. Non c’è recensione, commento o intervista a proposito di Disarming Beauty che non sottolinei “l’ottimismo” che la prospettiva di Carrón testimonia. Dove molti vedono solo i segni del declino di un mondo fino a poco tempo fa ancora in qualche modo segnato dal cristianesimo, lui vede l’opportunità di un recupero radicale di quella fede che era stata largamente ridotta a strutture, rituali, valori, abitudini sociali, a uno schema etico o a un’agenda culturale e politica. È bastato l’avvento di nuove strutture per spazzare via quelle vecchie.

«Non essere più la maggioranza morale ci permette di riscoprire il cuore del cristianesimo»

In una lunga intervista con John Allen, uno dei più importanti vaticanisti americani, Carrón si definisce «completamente ottimista», e la sua positività nasce «dalla natura stessa della fede»: «Non dipende dalla mia lettura delle cose, dalla mia diagnosi della situazione sociologica. Il problema è essere in grado di ripartire da questo punto di partenza assolutamente originale, dobbiamo tornare alle radici della fede stessa, a quello che Gesù ha detto e fatto». L’avanzare del deserto umano mette l’uomo di oggi in una posizione vantaggiosa per afferrare la profondità della crisi in atto e giudicare se il cristianesimo offre risposte adeguate: «Se non rispondiamo ai reali bisogni della persona umana, risvegliando la capacità delle persone di trovare il significato che rende la vita vivibile, è inevitabile che non risponderemo alla reale natura della crisi. Le sue radici sono nella riduzione di ciò che significa essere umani. Per questo sono ottimista: sono convinto che il cristianesimo può offrire il suo più grande contributo proprio in questa situazione», continua Carrón.



La dimensione della testimonianza, opposta alla militanza, e la capacità attrattiva del cristianesimo, che non ha bisogno di altro se non dell’“evento” di Cristo per comunicarsi agli uomini di ogni tempo, aprono una crepa nella concezione americana, dove la dimensione religiosa e quella civile sono ab origine sovrapposte e mischiate, e talvolta la fede è stata ridotta ad ancella del progetto della modernità secolarizzata. L’unica alternativa per chi si oppone a questa subordinazione pare sia la fuga, la ritirata strategica ai margini della società laica, alla ricerca di spazi di libertà. Una libertà necessariamente circoscritta, vigilata.

Il libro più influente fra quelli che segnalano l’esigenza di un ritiro per salvare la fede minacciata è The Benedict Option, del giornalista e intellettuale Rod Dreher. Dreher propone di abbandonare la culture war definitivamente persa per costruire arche con cui affrontare il gran diluvio del mondo, in attesa che le acque si ritirino. Si tratta di costruire comunità intenzionali per difendere l’esperienza religiosa da un mondo ostile.

Carrón vede l’opportunità di un recupero radicale della fede ridotta a strutture, rituali, e schemi etici

La prospettiva di Dreher, che da anni riflette su questa forma di ritiro plasmata sul modello monastico, ha affascinato decine di migliaia di cristiani americani di ogni confessione, ma qualche osservatore mette Disarming Beauty direttamente in opposizione all’“Opzione Benedetto”. Come ha scritto Blakely: «I cristiani non evangelizzano ritirandosi, ma stringendo amicizie. Capitolo dopo capitolo, Carrón insiste che il cristianesimo non è cominciato come un sistema morale o come assenso a istanze dogmatiche ma con Gesù, che ha offerto la sua compagnia». All’origine di tutto c’è una presenza, il resto è conseguenza. Anche nel Paese insieme più religioso e più secolarizzato del mondo.