A sinistra, Mauro Prina

Mauro Prina. Da un interruttore a Marte

Da Tracce di novembre, la storia di un italiano nella Silycon Valley: l’attenzione alla realtà, le domande che si aprono da un particolare, la condivisione con i colleghi. «Quando ti fermi a quello che pensi già di sapere, ti ritrovi ai margini»
Paola Bergamini

In terza media, Mauro Prina ha una passione: la macchina da scrivere. Lo affascina la meccanica di questo strumento che rende le sue ricerche scolastiche chiare, precise e ordinate. Decide di iscriversi all’istituto tecnico per periti informatici perché un conoscente gli dice: «I computer sono come delle macchine da scrivere potenziate». Allora, nel 1984, non immagina che questa passione lo porterà da Baceno, il piccolo paese a nord del lago Maggiore dove vive, a Los Angeles, come director thermal dynamics della SpaceX, la compagnia che Elon Musk, amministratore delegato di Tesla Motors, uno degli uomini più famosi (e dei cervelli più acuti) della Silicon Valley, ha fondato nel 2002 per costruire veicoli spaziali per il trasporto orbitale di persone e cose. L’obiettivo è semplice: andare su Marte.

Nel 1996, dopo la laurea in Ingegneria meccanica, Marco Bersanelli, docente di Astrofisica, gli propone di andare a Pasadena, al Jet Propulsion Laboratory della Nasa, per studiare il sistema di raffreddamento del satellite Planck, di cui segue il progetto. «In quegli anni era maturata in me la scelta vocazionale, di una dedizione totale. E Guido, Memor Domini, stabilitosi da poco a Los Angeles, aveva chiesto che qualcuno lo raggiungesse», racconta: «Bersanelli era un caro amico, qualcuno di cui potevo fidarmi. In più il metodo investigativo americano che avevo conosciuto qualche anno prima all’università di Chicago mi entusiasmava. Insomma, tutti segni che mi sembrava il Signore mi mettesse davanti. Ho accettato. E soprattutto il professore con cui lavoravo ha assecondato questo desiderio».

A Pasadena, per due anni il suo lavoro è incentrato su un interruttore. «Avevo scelto quel particolare perché all’interno del team di persone con cui collaboravo avevo individuato un professionista che conosceva benissimo i materiali. Da lui potevo conoscere ed imparare». A un certo punto emerge il problema di una saldatura. «Con il tecnico che mi affiancava abbiamo iniziato a parlarne con più persone. Ognuno mi dava un elemento in più per conoscere la materia. Per me alla radice c’è una curiosità verso la realtà. Questo perché nell’incontro con il cristianesimo è sbocciata un’apertura ancora più grande verso la realtà. Voglio scoprire dove il Mistero si fa presente, mi viene incontro. La conoscenza diventa un’avventura persino dentro un particolare come un interruttore. Per cui davanti a un problema la prima domanda è: io conosco tutto? Cosa mi manca? Quello che ho imparato oggi cosa mi dice? Dialogando con tutti, raccogli gli input e cominci a seguire percorsi non predefiniti e spesso non lineari. Anzi, a volte quasi sembrano portarti fuori strada. Come quando guidi e pensi di aver imboccato una via sbagliata ed ecco che ti trovi in un posto bellissimo che altrimenti non avresti visto. Ecco, la risoluzione della saldatura l’abbiamo trovata in questo modo. Scoprendo perfino nuovi materiali».

Dopo l’interruttore, la Nasa gli offre l’assunzione e Mauro si dedica al compressore. Poi la sua area di competenza si allarga fino al punto di firmare, come responsabile del progetto, la documentazione tecnica di tutto il sistema di raffreddamento installato sul razzo.

Un'immagine della missione Sacom-1A

Finito questo progetto, è la volta del sistema di raffreddamento del rover spaziale diretto su Marte, oggi chiamato Curiosity. In particolare, le valvole che devono mantenere la temperatura. Come fare? «La soluzione era nella doccia». Cioè? «Mi sono venute in mente le valvole che mantengono la temperatura sotto la doccia anche quando si apre un altro rubinetto d’acqua calda. Non abbiamo fatto altro che modificarle adattandole al rover. Se rimani incollato al dato tecnico, come è capitato tra gli altri ad alcuni miei colleghi che avevano una visione materialistica della vita, non puoi cogliere quel di più che la realtà ti sta dicendo. Non riesci a conoscerla, a trovare i nessi».

Nel 2007, Mauro decide di cambiare, perché alla Nasa gli sembra che i ritmi di progettazione e di lavoro siano troppo lenti. Nel giro di un giorno, colloquio e assunzione alla SpaceX. Una start-up visionaria per molti, folle per altri. «Mi affascinava questa idea che sottostava a tutto il progetto, che la coscienza umana varcasse i limiti geografici della terra. C’era il desiderio di dare un contributo perché la storia del mondo progredisse». Il primo lancio positivo è proprio nel 2007. Ma Musk lancia una nuova sfida agli oltre 300 dipendenti: per rendere il progetto sostenibile, il razzo non deve solo partire, deve anche ritornare, come una nave o un aereo. Alla Nasa ci stavano ragionando da quarant’anni. Alla SpaceX i passi sono molto più veloci. Si prova, si cambia, si impara dagli errori.

Nel 2015 il primo stadio del Falcon 9, dopo aver raggiunto l’orbita, atterra presso il luogo di lancio. Di fatto, è la prima volta che un razzo porta un satellite in orbita e fa ritorno alla base. Ma la strada è ancora lunga. «Era chiaro che ci imbarcavamo in qualcosa mai fatto prima. Non sapendo cosa ti aspetta, la conoscenza del dato ha bisogno di essere condivisa con i colleghi del team. Questo perché gli altri guardando la stessa cosa, vedono elementi che ti stanno davanti agli occhi, ma che tu non riconosci. Volendo conoscere non si ha paura di sbagliare, di farsi aiutare, di rischiare. Chi non ha questa curiosità conoscitiva, pian piano si trova ai margini, come accade anche a me quando rimango fermo a quello che penso già di conoscere. E in questi casi è solo una questione di tempo e ti ritrovi fuori».

Il lancio del razzo Falcon 9 nella missione Sacom-1A

Quest’estate, la SpaceX ha venduto il primo biglietto siderale. Yusaku Maezawa, imprenditore giapponese, ha acquistato per un gruppo di artisti un viaggio intorno alla Luna, con lo scopo di vedere cosa questo produrrà nella loro ispirazione. Mauro è strabiliato della notizia. I colleghi non comprendono la sua contentezza. E lui ribatte: «Ma vi rendete conto: uno spende una montagna di soldi perché altri possano ispirarsi per creare qualcosa di bello? Che ci sia una persona così dice quanto grande è l’uomo. A cosa tende».

In un progetto di questo tipo, il coinvolgimento è totale. Ma non basta. Le difficoltà emergono e a volte le motivazioni iniziali, il fatto di collaborare a una grande impresa, vengono meno. Due colleghi che Mauro aveva assunto si licenziano e gli dicono: «Vogliamo cambiare per ritrovare quelle motivazioni. Ci piacerebbe vivere con il gusto che tu hai ancora». «Io ho ancora gusto perché ogni giorno, per quanto ne ho coscienza, voglio scoprire quello che c’è di nuovo nella giornata. Per questo ho bisogno che il Signore si faccia presente, mi venga a trovare: nelle Lodi, nel lavoro, nei rapporti».
Un giorno, uno dei suoi capi gli ha detto: «Da dove ti arriva questo gusto per conoscere? Tanti altri lo hanno perso». Mauro gli ha raccontato la sua storia. Alla fine: «Tra qualche giorno torno in Italia a trovare i miei amici. Dove è nato tutto». E il capo: «Ok. Vengo con te».