Begoña, al centro, con un gruppo di amici di Shangai

Cina. «Siamo contente perché tu esisti»

All’inizio dell’Ottobre Missionario indetto da papa Francesco, Begoña, "memor Domini" spagnola, racconta cosa significa la missione per lei che ha trascorso dieci anni in Cina: «Puoi comunicare solo ciò che vivi»
Begoña Ramírez

Una delle prime cose che ho imparato nei dieci anni che ho trascorso Cina è che la missione è soprattutto vivere il tuo rapporto personale con il Signore. Questa è la cosa fondamentale, perché puoi comunicare solo ciò che vivi, e questo diventa ancora più evidente quando le persone che incontri non sono credenti, non capiscono nulla della tua storia, non sanno niente del cristianesimo e, a volte, tu non conosci nemmeno la loro lingua. Non puoi mostrare “nulla” a partire dall’immagine che hai dell’“essere missionaria”, tutto ciò che puoi fare è vivere con la consapevolezza che Lui è presente e attenderLo. Ed è affascinante aspettarLo e iniziare a vedere come Gesù agisce.

Questa è la missione per me: guardare ciò che Lui opera. In fondo, dovrebbe essere lo stesso in un Paese cristiano o non cristiano ed è ciò che dovrebbe dominare la nostra coscienza. Le persone si rendono conto che le guardi in modo diverso: percepiscono un rispetto, una dignità che li fa domandare chi sei.



Una delle cose più belle che ci sono successe è che, un giorno, i portinai dell’edificio dove abitavamo io, mia sorella e altre amiche, ci hanno invitato a cena. È qualcosa di totalmente insolito. Sono come un misto tra guardie giurate e custodi del condominio, e parlano strettamente cinese. Il rapporto in quegli anni con loro era stato solo un «buongiorno» quotidiano, o poco più. Se andavo a fare la spesa, a volte portavo loro un pacchetto di biscotti, un po’ di frutta, perché mi aiutavano sempre a caricare la batteria della motocicletta, che pesa 20 chili, o a portare in casa le cose che avevo comprato; ogni volta che arrivava un conoscente, gli dicevano che essendo nostro amico poteva passare senza problemi… Insomma, c’era un ottimo rapporto. E loro sapevano solo che ogni giorno alle 6.45 del mattino andavamo a messa. Bene, un giorno ci hanno invitate a cena! Siamo rimaste sorprese, e siamo andate.

Siamo arrivate al ristorante e loro avevano già ordinato una quantità di cibo per dieci... Abbiamo iniziato a cenare, passando un’ora tra un brindisi e l’altro, come si usa in Cina: vogliono renderti onore ed è il loro modo di esprimerlo. All’inizio della cena ci hanno detto: «Beh, dovrete benedire, no?», e io ho risposto: «Sì, ringraziamo Dio per questi amici che ci ha dato e per condividere questo cibo». Poi ci hanno chiesto perché non ci sposavamo e noi abbiamo raccontato come potevamo della nostra vocazione.
Loro si sono sorpresi. Dicevano che una cosa del genere in Cina non poteva esistere, perché se uno non si sposa, non ha dignità. Dopo un bel po’, gli ho detto che forse era ora che ce ne andassimo, perché loro si sarebbero dovuti alzare alle cinque. Uno si è alzato immediatamente ed è andato a pagare. Poi ci hanno detto: «Volevamo ringraziarvi per come ci avete trattato, nessuno ci ha mai trattato in questo modo. Le persone di solito ci trattano con disprezzo, voi ci avete trattato come amici, ci avete fatto dei regali, ci avete presentato ai vostri amici… Capite cosa vuol dire? Per noi è tutto: ci avete rispettato, ci avete dato dignità. E questo perché per Gesù Cristo tutti sono uguali. Sappiamo che ci avete trattato in questo modo perché siete cristiane».

Siamo rimaste tutte in silenzio, ma poi ho detto loro: «Nessuno vi dà la dignità, nemmeno noi. Voi avete già la dignità in voi stessi. Per noi, Gesù vi ha creato, e questo basta». Erano felici, ci hanno detto che erano così felici che non avevano più bisogno di bere… Non avevamo mai parlato con loro del cristianesimo: li abbiamo solo sempre salutati, al massimo qualche volta gli abbiamo detto che eravamo felici perché era Natale, che è nato il bambino Gesù, o Pasqua, che Gesù era risorto... Ma niente di più. Sembra nulla, ma lo hanno colto. È fantastico.

Un amico ci dice sempre che è sufficiente vivere del rapporto con il Signore, che questo è già tutto. Che è ciò che ci dà pace e certezza, e tutte queste cose che accadono non è affatto scontato vederle, ma quando succede ti trovi pieno di gioia, non per aver fatto qualcosa da soli – il che in questo caso è chiaro – ma per quello che fa il Signore. Questo dà un gusto indescrivibile, una certezza eterna.



Un altro episodio sorprendente è stato quando io e mia sorella siamo andate in vacanza in Vietnam e in aeroporto ci siamo sedute alla porta di imbarco accanto a una giovane donna cinese. Dopo cinque minuti, lei mi chiede se vado a messa a San Pietro, la chiesa internazionale di Shanghai. Dico di sì e mi dice che ci conosce, per tre anni ci ha viste andare in chiesa il sabato alle sei del pomeriggio, e ogni volta che ci vedeva era contenta. Provava simpatia per il fatto che andassimo a una messa in cinese anziché a quella delle cinque, in inglese. Pensava: «Queste ragazze devono stimare i cinesi per venire a una messa in cinese». Mi dice che è cattolica e che è grata di aver incontrato il Signore, e che ha il desiderio che tutta la Cina lo conosca. Ci siamo scambiate il numero di telefono e al ritorno l’abbiamo invitata a cena a casa nostra. Abbiamo incominciato a parlare e ci ha fatto capire, anche se non esplicitamente, che sentiva la mancanza di una comunità, un posto dove potesse vivere la fede. L’abbiamo invitata alla Scuola di comunità e ora è una di quelle che la seguono. Anche in questa occasione, mi sono resa conto che è Lui che sta dando a tutti ciò di cui hanno bisogno, e lo fa qualunque sia il contesto o la circostanza.

In questi anni abbiamo incontrato molte persone e, in diversi modi, abbiamo parlato della nostra vocazione e di CL. Onestamente, credo che nemmeno il 10% abbia capito qualcosa. Eppure, quello che sanno è che siamo persone felici, che abbiamo una casa pulita e ordinata (grande segno del cristianesimo per loro), che ci piace stare insieme e condividere la vita.
Queste persone sanno che ci siamo, che ci siamo sempre per loro, qualunque cosa accada, che possono sempre venire e condividere la loro vita con noi. Che non pretendiamo o chiediamo nulla ma che siamo felici solo perché esistono. Questo ci è sempre stato molto chiaro a partire da un suggerimento che un amico ci ha dato: «Voi non siete lì per creare una struttura del movimento, ma per vivere il vostro rapporto con Cristo, e la gente saprà che siete lì senza chiedere nulla».

LEGGI ANCHE Ottobre Missionario, un compito per tutti i cristiani

È decisivo essere accompagnati, seguire concretamente qualcuno. È molto comune e frequente - a me è successo tante volte - misurarsi, fare conti e vedere che gli anni passano mentre tu “non porti frutto” come immaginavi. È essenziale essere costantemente aiutati a ricordare che la tua misura non è la Sua misura. Che Gesù potrebbe fare un miracolo e convertire tutti, ma ciò che desidera è che si converta il tuo di cuore.