Tracce N.1, Gennaio 2003

Tra tutti i popoli del mondo, un popolo
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Recentemente, il quotidiano Le Monde, da sempre autorevole voce laica di Francia, ha riconosciuto, dopo un sondaggio, che le feste di Natale e di fine anno sono quelle più largamente condivise dal popolo francese e che, al di là del loro specifico significato, sono un fattore apparente di unità per un popolo già molto meticcio, sia come razze che come culture, e percorso da varie tensioni.

Da tempo in Italia, sfruttando ogni occasione (Mondiali di calcio compresi) si è avviata una specie di campagna a favore del tricolore e dell’inno nazionale, volta a favorirli come segno d’identità popolare e di unità, evidentemente più di quanto siano in realtà sentiti. E inoltre ci sono le discussioni politiche sulla devolution e la regionalizzazione.

Allargando lo sguardo, molti dei terribili eventi che hanno fatto e stanno facendo tremare il mondo hanno la caratteristica di guerre tra popoli o di prevaricazioni di uno sull’altro (in senso etnico o religioso); e nella guerra si vede un motivo di affermazione dell’identità del proprio popolo.

Da qualche anno, poi, tiene banco il dibattito intorno alla Carta europea, che dovrebbe, in qualche modo, esprimere i caratteri di un popolo che ha una sola moneta, ma che parla una quarantina di lingue diverse.

Infine, proprio nei momenti di difficoltà economica e di ristrettezze, non pochi politici richiamano una comune coscienza di popolo per affrontare con spirito solidale tagli e sacrifici.

Dunque, mai come oggi, nonostante oltre cinquecento anni di insistenza culturale, religiosa e politica sulla presunta autonomia dell’individuo, è centrale il problema su che cosa significa essere un popolo. Ma per la maggioranza la parola “popolo” suona vuota come una figura retorica, o assomiglia solo alla parola “tifoseria”, o “fazione”.

La storia ha visto alternarsi la fortuna e la rovina di grandi popoli, diversissimi tra loro. Di alcuni restano tracce fastose, di altri labili memorie. Quel che li univa, fosse il genio politico di un grande condottiero o le speciali condizioni di un luogo dove vivere o l’adorazione degli stessi dei, non li ha comunque risparmiati dal soccombere della loro identità e, infine, della loro stessa storia. Sono scomparsi. Da un certo punto in poi non hanno più dato vita a nulla di originale. E sarà così lungo la storia dell’uomo.

Tra tutti i popoli del mondo ce n’è uno particolare, quello cristiano. È un popolo “sui generis” (Paolo VI), cioè fatto a modo suo. Infatti la sua origine non è un evento del passato, ma un fatto che lo accompagna sempre. «Sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» è, infatti, la promessa di Gesù ai suoi, a quello sparuto gruppetto un po’ sgomento che, mangiando con Lui e vivendo con Lui, stava agli albori del popolo cristiano e che agli inizi dell’era cristiana stava tutto sotto il portico di Salomone, tanto era esiguo come fenomeno socialmente rilevabile.

Non sarà altro che l’amoroso riconoscimento di Cristo presente a conservare il popolo cristiano. E qui sta la differenza col popolo ebreo, da cui il popolo cristiano uscì con forza originale. L’Alleanza con Dio, la più grande avventura che possa capitare a un uomo e al popolo che ne nasce, ha preso la fisionomia di una ragazza con in braccio il suo bambino. Quell’alleanza si è compiuta in modo inatteso, in un avvenimento che riempie il cuore di chi lo incontra senza imporre nulla di preventivo, come legge o come consuetudine. «Vi ho chiamato amici», ha detto Dio, in un punto della storia, fissando nell’amicizia tesa al destino il nuovo genere di legame del suo popolo. Un vincolo di genere nuovo: non fissato nel sangue o nel consenso politico o nelle comuni leggi. Solo nell’amicizia si riconosce il popolo cristiano. Nessuna bandiera, nessun inno, nessuna strategia di accordo potranno tenere in vita il popolo che ha originato e continua a originare storia. Esso nasce e rinasce dal riaccadere nella vita di un uomo e di una donna dello stesso stupore di Maria, di quel che Lei ha provato dinanzi all’Avvenimento che le ha toccato la carne. E allora ogni lavoro domestico e ogni testimonianza, ogni impresa sociale e ogni opera sconosciuta, vissute con quella coscienza, diventano sorgente di speranza per tutti. E ogni parola di dolore e di amore, di timore e di lode, può riconoscersi e sciogliersi in un canto comune, segno semplice e bello della vita di un popolo, unica arma nella disarmata battaglia contro chi attenta alla vita di un popolo.