Tracce N.10, Novembre 2001
Le mani in pastaLeggiCentotrentasette anni fa, John Henry Newman scriveva: «Ad osservare il mondo in lungo e in largo, le vicissitudini della sua storia, la molteplicità delle razze umane, i loro inizi, le sorti, la reciproca alienazione, i conflitti; le imprese, o il procedere senza meta; i progressi e gli acquisti casuali, la conclusione impotente di situazioni lungamente trascinate; la grandezza e miseria delluomo, la vastità delle sue aspirazioni, la brevità della sua vita, il velame che copre il suo destino futuro, le delusioni dellesistenza, la sconfitta del bene, il successo del male, il dolore fisico, langoscia morale, la prevalenza e la forza del peccato, si ha una visione che dà sgomento e vertigine, che opprime col senso di un mistero profondo, che è assolutamente al di là della soluzione umana» (J. H. Newman, Il cuore del mondo, Bur 1994).
Il clima di guerra e di terrore che in queste settimane vive il mondo, la paura che serpeggia ovunque, rendono quelle parole attuali in ogni coscienza umana. Così non si può dire di esser vivi e cristiani in questo momento storico tanto grave senza avvertire lo sgomento e la vertigine di cui parla Newman. È una visione più vera e realista di tante presunte analisi speciali e di tanti scenari disegnati dai media e dagli opinion leaders.
Il Papa ha usato parole che scuotono per giudicare questo momento.
Due mesi fa scrivemmo che in questa circostanza siamo richiamati a scoprire chi ci salva. La domanda a Cristo per la vita del mondo e per la verità della nostra esistenza è lazione più chiara e utile che possiamo compiere.
Ma il giudizio cristiano non si esprime come puro auspicio, non resta a qualche metro da terra senza mischiare le mani con il farsi concreto e ambiguo della storia. Il cristiano non è il comodo osservatore di una partita altrui, poiché «tanto lui sa già come stanno le cose». I cristiani non sono persone che credono di vivere già in Paradiso. Si entra nella mischia come tutti, dentro le approssimazioni e le contraddizioni che toccano ogni situazione umana, personale, sociale e politica. Qualsiasi posizione di distacco, di non compromissione di fronte ai problemi cela una presunzione intorno alla missione del cristiano: come se il giudizio che nasce dalla fede coincidesse con una svalutazione delle circostanze della vita, personale, sociale e politica.
La fede muove luomo al realismo, non alla fuga utopica. Amare il mondo e gli uomini non per quel che sono, ma per quel che dovrebbero essere è la radice del moralismo e dellutopia che generano sempre violenza. Nello schierarsi dentro le vicende del mondo, chi è toccato dallavvenimento cristiano è più inquieto nel cercare ragioni adeguate e profonde, e nel tenere presenti tutti i fattori in gioco. Si troverà in compagnia di uomini che dinanzi alle questioni sociali e politiche militano dalla stessa parte anche in nome di ragioni più superficiali o parziali. Ma non per questo lascerà il campo.
Quanto più le vicende sono gravi, tanto più nella vita della Chiesa non mancano lesempio né il richiamo di Pastori che sanno prendere posizione. Come hanno fatto il Papa e il cardinale Ruini in questi mesi, richiamando gli Stati Uniti - impegnati nella difesa della loro, e nostra, libertà contro il terrorismo - al loro dovere storico, in quanto grande potenza, di favorire e garantire, per quel che è possibile, «una pace giusta e duratura».