Tracce N.10, Novembre 2004

Quell'auto sulla A14
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A dire il vero non era un’auto, ma un pulmino. Se no, non ci stavano. La compagnia era ben assortita. Un poliziotto e la fidanzata, un ex-mariuolo e un’amica, un nipote di anarchici bombaroli - e anarcoide pure lui - con consorte, un paio di ragazze senza segni particolari. E un autista ben piazzato. La strana comitiva ha percorso un lungo tratto di A1 e di A14, le autostrade del sole e del mare. Fino ad arrivare dove la collina è incoronata dal chiaro santuario di Loreto. A quella casa di Maria, la strana comitiva è arrivata insieme ad altre 45.000 persone. Ognuna con la propria storia. E ognuna per partecipare a un gesto semplice e profondo.

La forza del gesto del pellegrinaggio, che ha riunito a Loreto tutto il movimento per la preghiera in occasione dei cinquant’anni della nascita di Comunione e Liberazione inizia lì, nel formarsi di quella comitiva strana. E di tutte quelle che si sono radunate su quella collina da cui si vede il mare. È all’inizio della decisione di partire, di andare, che si è messo in gioco tutto quel che nel grande e ordinato gesto comune si è espresso. La grande vitalità del pellegrinaggio di Loreto si è realizzata innanzitutto nel chiaroscuro di coscienza in cui ciascuno, con la propria storia e con la propria sincerità, ha deciso di passare un giorno compiendo un gesto semplice di adesione a una storia più grande. Perché lo ha fatto? Per quale motivo si sono formati equipaggi così singolari e altri anche più variamente assortiti, a formare un popolo? E perché quel popolo non era di gente annoiata, o disordinata, come hanno notato in tanti osservatori e media?

Quel gesto ha riproposto come presente l’Avvenimento di Cristo. L’unico fatto che ha colpito il cuore in modo eccezionale ed impari. Il fatto grazie a cui il Mistero dell’Essere si è rivelato amabile e la sua dismisura familiare nel trattare le cose della vita.
Perciò l’adesione al gesto è stata il segno di un popolo, cioè della Chiesa come vita. Non una cerchia di irreprensibili, e nemmeno una consorteria di bigotti. Ma uomini e donne toccati da qualcosa che non possono negare, come certezza di fascino e come spunto continuo di ripresa nel vivere.

« Non ho mai inteso “fondare niente”» è stata la frase più volte citata di don Giussani, riferita alla nascita del movimento. Infatti quel pellegrinaggio imponente non è stato il segno di un geniale atto di volontà affermatrice di un progetto, bensì la lunga gittata di un gesto di obbedienza allo stupore per Cristo, iniziato cinquant’anni fa sui gradini del liceo Berchet a Milano.

Conversando a tavola con un gruppo di amici, a chi gli comunicava lo stupore generale per l’ordine e il silenzio durante il pellegrinaggio, don Giussani ha risposto: «Deve risultare evidente al popolo che c’è stata un’obbedienza di mezzo, perché ognuno è stato investito da un evento eccezionale». E poi ha aggiunto che sono due le cose “altissimamente” evidenti: «Primo: all’origine di tutto c’è un Avvenimento e questo è già definitivo dal punto di vista gnoseologico e storico. Secondo: è una sorpresa dell’altro mondo, vale a dire la ragionevolezza è determinata esclusivamente dal fatto che la ragione sente l’urto di un’eccezionalità. La razionalità, infatti, esige la percezione di un clamore che investe tutto il campo dell’esperienza».

Nell’arco imprevisto descritto da questi due poli un popolo di gente strana, cioè cristiana nel mondo di oggi, ha preso vita e coscienza.