Tracce N.10, Novembre 2005

L'urgenza della ragione
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Chi legge i giornali avrà notato nelle scorse settimane accendersi con più vigore un dibattito che già da parecchi mesi dava segni sparsi. In sintesi, la discussione riguarda la fede e il suo valore “pubblico”, ovvero il suo rapporto con la capacità di ragionare e l’incidenza che essa può avere a riguardo della convivenza civile e dei suoi problemi. È un dibattito che ci ha sempre riguardato. Comunione e Liberazione è stata molte volte occasione di curiosità e anche di polemiche proprio su queste faccende: guardata, da un lato, con simpatia e, dall’altro, con diffidenza perché ha affermato e afferma - in un Paese secolarizzato - che Dio è vivo, è presente e ha a che fare con tutto. Con simpatia, da parte di cattolici e di spiriti liberi che non si rassegnano a considerare Dio e il cristianesimo come un vecchio arnese, buono solo per i funerali o per le prediche. Con diffidenza, da chi, erede di una tradizione che si autoproclama illuminata, pensava di essere riuscito a relegare il problema di Dio in uno scantinato della storia, o tra patologie individuali.
Non è un dibattito nuovo, ma alcuni fatti lo hanno rilanciato. Vediamoli. Prima di tutto è nuovo il fatto che in campo laico è sorto, da parte di alcune personalità di primo piano, una specie di “dissenso” rispetto alle posizioni laiciste e violentemente antireligiose manifestate in occasione di grandi dibattiti su questioni delicate: ad esempio, in occasione del referendum sulla procreazione, alcuni di questi laici hanno riconosciuto nella posizione cattolica un maggior rispetto della ragione e una maggior coscienza della situazione culturale contemporanea.
In secondo luogo, l’entrata in scena di fenomeni legati a una presunta matrice religiosa (il terrorismo fondamentalista islamico, così come la massiccia immigrazione) pone questioni serie e non rimandabili circa l’identità che si dice di avere. E sottolineano la differenza tra cristianesimo e altre risposte al problema religioso. Tali fenomeni si aggiungono ad altri, non meno importanti, che segnalano l’indebolimento del tessuto sociale in cui viviamo, e una perdita delle ragioni della convivenza e della tensione a un ideale di bene comune.
Terzo, e più decisivo fattore di novità, il potente richiamo di fascino umano esercitato dalla persona e dal magistero di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, visti tra i pochi interlocutori adeguati per chi avverte una responsabilità di fronte ai grandi problemi della nostra epoca.
Noi sappiamo bene che il cristianesimo si conosce e si comunica attraverso la vita e non con i dibattiti. Non ci aspettiamo dunque da questo genere di discussioni chissà quale “crescita” della fede. Anzi, a volte la noia e lo sconforto prevalgono dinanzi alla presuntuosa piccolezza di certi argomenti, tipo: «Quando il Papa vuole fare le leggi» o «Perché Ruini non diventa senatore» (due titoli di altrettanti editoriali di Eugenio Scalfari). Tuttavia è evidente, specie in alcuni interventi, come il cristianesimo eserciti un’attrazione fortissima su uomini che non si riparano dietro a pregiudizi o a calcoli. Ed è questo il punto: perché ? Lo ha indicato Benedetto XVI in due recenti occasioni, una catechesi del mercoledì e un messaggio inviato ad alcuni protagonisti del recente convegno di Norcia. Commentando il Salmo 134, il Papa ha rilanciato l’appello di Dio a Israele che aveva scelto l’idolatria. La vera alternativa non è tra fede in Dio e non fede. La fede è un dono, una grazia. La vera alternativa è tra chi, magari drammaticamente, accetta l’ipotesi che Dio esista e chi invece la esclude finendo schiavo degli idoli, «opera delle mani dell’uomo, un prodotto dei desideri umani». È un fatto evidente nella società in cui viviamo. Siamo circondati da idoli che non corrispondono al cuore dell’uomo e lo lasciano in una stordita disperazione, indifferente a tutto e a tutti. Molti laici hanno toccato con mano la cecità e la falsità di molti idoli. E l’idolo posto più in alto dagli uomini del secolo appena trascorso è lo Stato. Perciò quando il Papa indica che c’è qualcosa che viene prima dello Stato, che c’è un Padre più grande e meno padrone, il quale ha inscritto nella natura dei suoi figli qualcosa di inviolabile, ecco che i nuovi predicatori laici gridano all’invasione di campo e alzano barricate per difendere il recinto delle loro sicurezze che nessuno può giudicare. Gli uomini liberi, invece, che hanno una fede o che non ne hanno una - e comunque non hanno chiuso le porte alla possibilità che accada una novità - avvertono qualcosa di razionalmente vero, e di urgente.