Tracce N.10, Novembre 2009

Al di là del cerchio
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C'è un avvenimento imponente che da qualche anno segna il mese di novembre. In Italia ma, ormai, non solo, visto che un po’ alla volta sta diventando globale, con ricadute in Europa e Sudamerica. È la Colletta, la giornata organizzata dal Banco Alimentare (quest’anno cade il 28) per raccogliere da chi fa la spesa cibo da donare ai poveri. È il momento culminante di un lavoro che dura tutto l’anno, visto che il Banco assiste costantemente ottomila enti e associazioni (primi fra tutti, i Banchi di Solidarietà). Nel 2008 ha mobilitato più di centomila volontari, stavolta è probabile che si vada oltre. Un gesto di popolo, insomma. Che però, per paradosso, si porta dentro un rischio. Non è tanto - o non solo - l’abitudine, la possibilità di dare per scontato che accada una cosa del genere (ormai è l’edizione numero dodici). È qualcosa d’altro, di più sottile. Qualcosa che, stranamente, si annida nella semplicità stessa del gesto.
In fondo, la Colletta è come un cerchio che, una volta tanto, si chiude a perfezione. C’è chi fatica ad arrivare a fine mese e spesso non ha i soldi per mangiare. C’è chi raccoglie sul mercato cibo che altrimenti andrebbe buttato (il Banco Alimentare, appunto). E c’è chi lo fa avere ai poveri (i Banchi di Solidarietà e le altre associazioni). Una grande idea, un’applicazione intelligente e una macchina organizzativa che funziona. Bellissimo.
Eppure, da fuori, ci si potrebbe fermare lì, al bel gesto. Grande. Commovente. Capace di approdare sui giornali. Ma destinato a svanire qualche giorno dopo, nella mente di chi non è implicato direttamente nel Banco, nei Banchi o nel ruolo di chi quei pacchi li riceve.

E invece no. In quel sabato di fine novembre - e in ciò che porta a galla - c’è molto di più. C’è tutto. Perché basta grattare via la patina degli stereotipi sulla crisi e i “nuovi poveri” per trovare quello che un recente rapporto della Fondazione Sussidiarietà afferma con numeri e cifre e che lo stesso Benedetto XVI ha fissato in un passo della Caritas in veritate: «Una delle più profonde povertà che l’uomo può sperimentare è la solitudine. A ben vedere anche le altre povertà, comprese quelle materiali, nascono dall’isolamento, dal non essere amati o dalla difficoltà di amare».
Si è poveri perché soli. Tante volte, prima di essere una questione di disoccupazione, di soldi, persino di fame, la povertà è solitudine. Bisogno di un rapporto, quindi, altro che sussidi. Conta quanto il cibo. Anzi, più del cibo. Perché non è un rapporto qualsiasi che manca, al povero come a tutti: è “il” rapporto, il legame con il significato. Con ciò che dà senso e dignità a tutto. Con il Mistero. Non a caso, quella pagina del Papa prosegue così: «Le povertà spesso sono generate dal rifiuto dell’amore di Dio, da un’originaria tragica chiusura in se medesimo dell’uomo, che pensa di bastare a se stesso, oppure di essere solo un fatto insignificante e passeggero, uno “straniero” in un universo costituitosi per caso. L’uomo è alienato quando è solo o si stacca dalla realtà, quando rinuncia a pensare e a credere in un Fondamento».

Il cuore della Colletta, e del lavoro che si porta appresso tutto l’anno, è proprio questo. All’origine di quel cerchio semplice e perfetto, tracciato dal Banco, dai Banchi e da molte altre opere - ma si potrebbe dire, da ogni forma di vera carità -, c’è qualcosa che sta oltre. Un fattore che pesa molto di più del pacco di viveri portati a chi ha bisogno. C’è «il Fondamento», per usare l’espressione del Papa: Cristo. E arrivare fin lì, a riconoscerLo, è ciò che inizia a scardinare davvero la solitudine. Di chi riceve, ma anche di chi dà.
Lo testimoniano molte delle storie che troverete raccontate in questo Tracce. Ma è una possibilità per tutti. Magari a cominciare da quel sabato di fine mese, in cui si può entrare al supermercato per “fare del bene” e si può uscirne - o legarsi - avendo fatto un passo in più nella conoscenza della realtà. Di sé. E di ciò che serve a tutti per vivere.