Tracce N.10, Novembre 2011

La vera natura
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Ci vuole coraggio a dire che la realtà è positiva. Soprattutto di questi tempi. Eppure è la base del documento di Comunione e Liberazione che trovate allegato a questo Tracce (e l’idea che, come vedrete, sottende tutto questo numero). È il punto di partenza per accettare la crisi senza subirla, ma come un’occasione.
«Una sfida per il cambiamento», appunto. Come si fa, allora, a dirlo? Da dove viene questo coraggio? In un incontro recente, Julián Carrón ha affrontato di petto proprio questa domanda. Con una chiarezza così lineare che basta riprendere quelle parole. E leggersi il volantino alla luce di questo fil rouge.

Punto primo: che la realtà sia positiva non è «un’interpretazione “cattolica”». Non è l’applicazione di un preconcetto religioso a farci vedere un bene dove non c’è, mentre «altri che non hanno questa partenza la interpretano diversamente e possono permettersi di dire che la realtà è negativa, cioè possono dire pane al pane e vino al vino perché non sono costretti dalla loro ideologia. No! Questa è la sfida: non si tratta di “battezzare” la realtà, ma di riconoscerla nella sua vera natura».
E qual è questa vera natura che la ragione è chiamata a riconoscere? «Tutto ciò che c’è, in quanto è accaduto, in quanto il Mistero ha permesso che accadesse - perché tutto ha un’origine in quel Tu -, per il fatto che è accaduto, è una provocazione alla nostra vita, cioè un invito al cambiamento, è occasione di un passo verso il destino. È per noi, è via, è strumento del nostro cammino, è segno. Diciamolo: la realtà è segno». Per questo «è ontologicamente positiva». Ovvero: lo è in sé.
Da dove nasce il problema di non riconoscerlo? Dal fatto che tante volte intendiamo questa affermazione «come se “positiva” significasse “desiderabile” o “gradita”. E poiché ci sono circostanze che non possono essere percepite come desiderabili», allora «ci sembra di barare, di giocare sporco, dicendo che la realtà è positiva». Perché? «Se noi non arriviamo a vedere qualsiasi cosa come presenza di un Tu che è all’origine, noi non riusciamo a dire che la realtà è positiva».
Problema di fede, allora? No. Di ragione. Un riconoscimento così della realtà implica un uso della ragione che ne segua la vera natura di «conoscenza del reale secondo tutti i fattori». E la ragione «è fatta per cogliere la realtà come dato vibrante di un’attrattiva, come provocazione e come invito». Mentre «per la nostra fragilità e per il condizionamento del contesto, per il potere che ci circonda», tante volte, troppe volte, la usiamo in modo strano. Debole. Ridotto.

Qui arriva il contributo decisivo che è venuto a darci Cristo. «Siccome siamo in questa situazione, Cristo si è incarnato.
È diventato carne, non per risparmiarci questo lavoro della ragione, ma per diventare compagno, per ridestare tutta la possibilità della ragione di riconoscere il reale come è». In definitiva, «per farci diventare uomini in modo tale che possiamo guardare la realtà secondo la sua vera natura, senza essere visionari».
La nostra speranza nasce da qui. E il contributo che possiamo offrire al nostro Paese, pure. Non un’analisi in più, qualche ragionamento in più, qualche lamento in più. Ma una sfida ad usare in modo vero la ragione, come ci richiama il Papa di continuo. Fino al dettaglio, perché il documento, come vedrete, arriva fin lì: indica esempi e propone strumenti di lavoro. Soprattutto, ricorda un fatto: l’impeto di ciascuno è un bene per tutti, perché l’energia dell’io non si esaurisce in se stessa, ma costruisce un popolo. L’Italia - e non solo - è cresciuta così. Ha superato ogni crisi così. Perché non potrebbe cambiare così?