Tracce N.11, Dicembre 2004

Un incontro umano in cui Dio è presente
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Siamo in un tempo che molti designano di crisi. Nelle analisi che riguardano
i mutamenti sociali, da quelli antropologici a quelli economici, ricorre spesso
il sentimento di un’epoca che si sta esaurendo. E il nuovo che appare all’orizzonte
ha spesso i tratti inquietanti della lotta, dei cambiamenti incontrollati e caotici,
e del possibile e sempre più sofisticato dominio dell’uomo sull’uomo.
Dai vari campi delle ricerche scientifiche e della geopolitica provengono segnali
contraddittori e di incertezza.



In questa situazione, parlare del Natale può risultare vano, lontano.
Al massimo ci viene riproposto come la celebrazione occasionale di un buon sentimento
per scacciare la paura: un muro di sogni eretto per un giorno davanti alla cruda
realtà.



Eppure per secoli la memoria dell’avvenimento cristiano - la nascita di
Cristo, il Dio fatto uomo - è stata punto di attacco, punto di ripresa
per comprendere il valore assoluto della persona e quindi della storia umana.
La nascita di Gesù è stata il punto di spinta per ogni ripartenza.
Per ogni inizio, per ogni ripresa anche nella prova e dopo la sconfitta.

Infatti se Dio si è commosso a tal punto da diventare un bambino tra noi,
significa che qui c’è qualcosa che vale. Significa che l’uomo
non è un incidente, un errore nel caos dell’universo.



Dalla nascita di quel Bambino dipende la coscienza che l’uomo ha di sé.
E dunque il senso delle sue azioni.

Una civiltà che ha dimenticato il senso potente, la commozione integrale,
ragionevole e d’affetto per l’avvenimento del Natale, ha perduto
il senso dell’inizio. E per questo nelle crisi è più vulnerabile
e smarrita.



L’inizio della vita sta nella vita, non in un discorso su di essa. Né la
retorica né gli scrupoli hanno mai dato avvio a una esperienza positiva.
Hanno piuttosto creato tirannie e sacrificato, in cambio di un’idea che
si pretendeva giusta, la vita reale di tanti.



All’inizio del cristianesimo non c’è «un discorso» -
lo ha ricordato don Giussani nella recente intervista al Corriere della Sera
-, ma «un atto di vita». C’è un bambino, la carne indifesa
di un Dio che chiede di entrare in rapporto con i nostri corpi e le nostre menti,
con la nostra ragione e il nostro affetto. All’inizio non c’è un
atto di imperio. C’è la libertà di Dio che si incontra con
la libertà dell’uomo: una sfida generosa. Da questo spettacolo,
di cui i nostri presepi sono la traduzione elementare e commossa, può avere
inizio sempre l’avventura umana nella storia. Nella storia grande dei secoli
e in quella grande di ciascuno, ogni giorno.



La Chiesa guidata dal Papa è fatta di gente per la quale il Signore non è mai
un passato, ma un’esperienza presente che cambia la vita.



Margherita Coletta, vedova del brigadiere ucciso un anno fa a Nassiriya, intervistata
dal Tg4 dopo l’udienza con Giovanni Paolo II mercoledì 17 novembre,
ha detto: «Averlo potuto vedere è stato come incontrare Gesù.
Mi ha dato tanta forza». Un incontro umano in cui Dio è presente,
questo è il cristianesimo.

Buon Natale a tutti.