Tracce N.11, Dicembre 2005

Una proposta per affrontare il reale
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Che cos’hanno in comune una famosa cantante come Mina e una delle tante mamme di Roma? Hanno reagito al lancio dell’appello “Se ci fosse una educazione del popolo tutti starebbero meglio” - promosso a metà novembre da oltre cinquanta personalità della cultura e dell’economia - allo stesso modo: si sono sentite tirate in ballo, coinvolte, e chiedono che non resti solo un appello.
Sta succedendo così. Chi con un articolo sul giornale, altri con e-mail alle trasmissioni radio, o telefonando ad amici, c’è un sommovimento di reazione a quell’appello che sta svelando un’Italia preoccupata e però desiderosa di impegno con il futuro. Educazione: su questa parola e sul valore del suo reale contenuto don Giussani ha speso la vita. Aveva capito una cosa, intravedendo quello che in seguito intellettuali, vescovi e filosofi hanno toccato con mano: il futuro di un popolo si gioca nella educazione. Se non se ne propone una adeguata, è inevitabile che - specialmente nei momenti di maggiore durezza o conflitto della vita sociale - si rischi il dissolvimento. Oggi siamo in un momento così.
I conflitti che ci sono, evidenti o serpeggianti, possono essere adeguatamente affrontati se la vita degli uomini viene costantemente educata a una concezione positiva dell’esistenza. Tale concezione non si può fondare su un volontarismo ottimista. O è sostenuta da un avvenimento storicamente accertabile come fonte di speranza continua, oppure non tiene. L’avvenimento storico che ha questa caratteristica di rifondare la speranza degli uomini è Gesù Cristo, di cui si celebra tra poco la Nascita. Lo dimostrano le storie private di una folla di uomini e donne lungo i secoli, e l’esistenza di una civiltà che, innervata dalla fede cristiana, ha continuato a promuovere lo sviluppo e il benessere e la dignità di ogni vita. È proprio il concentrato di questa storia, che chiamiamo “tradizione” che occorre proporre come ipotesi di lavoro per affrontare il reale.
Ora tutto questo è bersaglio di molti attacchi e di corrosioni interne.
Perciò è più urgente porre l’educazione come problema comune, che non riguarda solamente i ragazzi nelle scuole, ma chiunque nella nostra società. Mentre molti, troppi che pure siedono in posti di responsabilità sembrano distratti dall’assicurare per sé o per la propria fazione un piccolo futuro, c’è un popolo di madri, di padri, di uomini di cultura, di lavoratori di ogni genere che alza un’altra bandiera. Non è quella di una parte. Ma tutti possono decidere se stare dalla sua parte.
Educazione non è una parola che indica un tema astratto, non è solo un argomento da dibattito. Indica un processo concreto, esistenziale e vissuto: c’entra con la libertà di chi propone e con la libertà di chi è sfidato a rispondere. Perciò non si parla realmente di educazione se non proponendo un cammino educativo. Se non assumendosi il rischio di fare una proposta. Come ha fatto don Giussani.