Tracce N.11, Dicembre 2012

Il potere che non tramonta mai
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Una presenza. Da subito. Dal primo vagito in quella grotta di Betlemme, dove chi si affacciò vide qualcosa di così effimero da sembrare nulla: un bambino, appena nato. Un soffio, agli occhi di noi uomini. Ma carico di quell’annuncio totale e straniante, perché diverso da qualsiasi cosa mai vista prima: «Oggi è nato per voi un Salvatore...». È così che il cristianesimo è entrato nel mondo. Una presenza. A prima vista effimera, inerme, ma colma di una diversità - di una promessa di pienezza - talmente radicale da cambiare la storia, per sempre.
Da allora c’è una domanda che scava nelle vite di chi è preso da Cristo: che cosa vuol dire essere presenti, incidere nella realtà? Non è accessoria: coincide con la natura dell’esperienza cristiana. Della fede. Molto più di tante altre domande che riguardano la morale, la politica, le opere, il “fare”. Se il cristianesimo entra nel mondo così, vorrà pur dire qualcosa sul modo in cui vi permane ed agisce, no? E allora, che cosa vuol dire “presenza”?

È il tema conduttore di questo Tracce. A cominciare dal “Primo Piano”. Colpisce pensare che i cristiani di lì, a pochi chilometri da quella grotta, siano nelle stesse condizioni di quel bimbo: inermi e impotenti, agli occhi di tutti. Il famoso “vaso di coccio” tra vasi di ferro, pronto a essere spezzato e spazzato via dalle bombe che si scambiano “gli altri”. Eppure nella loro presenza c’è tutto. C’è una serenità che non si può fare a meno di cogliere, sorprendendosi. C’è una diversità nel vivere che colpisce, noi e i loro concittadini. In una parola, c’è una testimonianza. Il segno che nelle loro vite - nella vita dell’uomo - è entrato Altro. E questo Altro permette di vivere sotto le bombe. O di sostenere l’impatto della crisi, come si può leggere nella “Pagina Uno” in cui è riportato l’intervento di Julián Carrón davanti a una platea di duemila imprenditori. O di vivere da protagonisti, anche senza appoggiarsi sul “fare” e sull’“organizzare”, tra le aule dell’università (vedi il reportage sul Clu) o nei mille rivoli della vita quotidiana.

Una presenza, non un “fare”. Una testimonianza, non la ricerca del potere. Ecco cos’è il cristianesimo. Da sempre. Benedetto XVI, che ha appena scritto un libro bellissimo imperniato proprio sull’infanzia di Gesù, sugli anni in cui il Mistero ha mosso nel mondo i suoi primi passi da bambino, nelle omelie che intessono questo Anno della Fede ha toccato anche questo tema. Non parlava dell’inizio, ma della fine, o quasi: delle ultime ore della presenza terrena di Cristo, subito prima della croce. «Davanti ad un uomo indifeso, fragile, umiliato, come è Gesù, un uomo di potere come Pilato rimane sorpreso», dice il Papa: «Sorpreso perché sente parlare di un regno». Di un re. Di un altro potere. E iniziano le domande, le stesse di sempre di fronte ai cristiani: ma allora ci può essere un potere più grande sulla vita? Un potere «che non tramonta mai e che non sarà mai distrutto»?
La riposta la conosciamo, l’abbiamo sentita tante volte: «Tu lo dici: io sono re. Per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità». Testimonianza. L’abbiamo sentita. Ma è urgente che diventi nostra. Buon Natale.