Tracce N.2, Febbraio 1997

Parole ed esperienza
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C'è un indizio ben chiaro per comprendere il reale stato di salute di un popolo: la condizione in cui versano le sue parole. Non a caso, la Bibbia ha indicato nella Babele la situazione più infausta per una città, il segno del suo allontanamento da una vita comune ordinata.

Le parole, infatti, indicano la coscienza condivisa di una esperienza. Quando si vede che fine fanno sui mass media, e anche nella testa e nel cuore di tanti, termini come "perdono", "giustizia", "pietà", si ha l'impressione di uno stravolgimento che non promette niente di buono.

La distruzione di un popolo, infatti, può procedere con l'uso di mezzi cruenti, ma anche con l'annullamento dell'esperienza che lo qualifica, al fine di renderlo più docile ai dominatori di turno. Un popolo nasce sempre da un avvenimento che nutre e sostiene lo sviluppo della vita e la tensione ad affrontare i problemi.

In una recente intervista a il Giornale il poeta Mario Luzi osservava che oggi «siamo in presenza di un enorme spreco di parole che si annullano fra di loro. Ma manca la parola vera» e invitava a «recuperare l'umiltà, non nel senso di modestia, ma di aderenza all'humus, alla realtà». Le parole, infatti, non si difendono in astratto, cioè con un esercizio accademico.

Già all'inizio della nostra storia ci sentivamo dire che «le parole sono suoni per coloro che non si impegnano, sono il nome di esperienze per chi le vive». Solo il riaccadere di una esperienza dà peso a termini che altrimenti diventano vuoti. Per questo la confusione di questi tempi tristi e oscuri ci spinge ad approfondire il valore di alcune parole che segnano il nostro cammino cristiano. L'inserto che proponiamo all'interno di Tracce, dal titolo: «Qui salvandos salvas gratis. A proposito di perdono», offre un contributo in tal senso.