Tracce N.2, Febbraio 1998

Fidel, l'etica e l'ontologia
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Monsignor Lorenzo Albacete, portoricano, docente al Seminario della diocesi di New York, ha partecipato al viaggio del Papa a Cuba. Per Tracce ha scritto un articolo che proponiamo come editoriale di questo numero

Il 25 gennaio, due ore dopo che Giovanni Paolo II aveva lasciato L'Avana, mi trovavo a parlare con Fidel Castro dell'insegnamento di don Giussani. Che cosa c'è di più imprevedibile? Ero stato invitato a un ricevimento offerto da Castro ai Cardinali e ai Vescovi degli Stati Uniti venuti a Cuba in occasione della visita del Pontefice. Il presidente cubano era ancora visibilmente commosso dall'evento e appariva sinceramente interessato a quanto accade oggi nella Chiesa cattolica. Tra l'altro, Castro ci ha chiesto perché l'evangelizzazione riscuote più successo in Africa che in Asia. Il cardinale Bernard Law di Boston gli ha risposto che il senso religioso degli africani è meno "astratto" di quello degli asiatici, domandando a me di spiegare a Fidel il senso di questa risposta.
Così ho provato a spiegare che il senso religioso riflette il modo con cui l'uomo affronta la realtà nella sua totalità; che esprime esattamente il modo in cui l'uomo fa esperienza della propria identità l'esperienza dell'"io", di essere "qualcuno" e non solamente "qualcosa". Ma dov'è il fondamento di questa esperienza nella realtà attorno a noi?
Si potrebbe, certo, partire da una posizione materialista e negare quella differenza. Il risultato sarebbe un'alienazione che trasforma la vita umana in una continua lotta contro la realtà.
Un'altra possibilità potrebbe essere l'idealismo o uno spiritualismo che cerca di eliminare questa esperienza per rifugiarsi in un mondo totalmente avulso dalla realtà. Questa è la tendenza delle religioni orientali.
La proposta cristiana ha preso tutta un'altra strada. Ha collocato l'origine dell'esperienza della persona nella presenza di un altro. Inizialmente questo "altro" è un essere umano, a partire dalla madre. L'esperienza stessa, tuttavia, mostra che nessun'altra persona, né gruppo di persone, potranno mai spiegare quella presenza nella sua totalità. Si percepisce così l'esperienza del Mistero, di quell'Altro trascendente che è all'origine della nostra identità e del nostro destino. Di più, la proposta cristiana afferma che questo Altro è entrato nella storia e nella realtà delle cose e delle persone, diventando un uomo preciso nel mondo: Gesù Cristo. La modalità con cui "raggiungere" il Mistero, perciò, è l'umanità di questo individuo, Gesù Cristo. Per questo il Papa ha ripetuto a Cuba che l'impegno e la difesa dell'umano è essenziale per l'evangelizzazione. E perciò ha chiarito che seguendo Cristo non rinunciamo a nulla della nostra umanità concreta; al contrario, questo ci permette di essere protagonisti della nostra storia individuale e sociale, facendo fruttare tutti i nostri talenti, le nostre capacità e le possibilità di realizzare noi stessi.
Fidel Castro è apparso sorpreso, probabilmente si chiedeva perché i religiosi che aveva frequentato da ragazzo non gli avevano spiegato le cose in questo modo! Gli ho detto che quello di cui avevamo parlato si poteva ritrovare nei libri di don Giussani, e che gli avrei inviato una copia de El Sentido Religioso, ed egli si è mostrato interessato alla cosa.

Non è possibile stabilire con precisione fino a che punto il fascino dell'incontro col Santo Padre abbia fatto nascere nel cuore di Fidel un autentico interesse religioso. In ogni caso egli è chiaramente convinto dell'utilità dell'insegnamento etico del Papa a Cuba, dove molte persone, specialmente i giovani, sembrano avere perduto lo zelo rivoluzionario per ricadere in un mondo chiuso in se stesso, dominato dalla ricerca di un piacere immediato.
Il Papa stesso ha descritto tutto ciò nella sua omelia ai giovani cubani a Camagüey: «È facile cadere in un relativismo morale e in una mancanza di identità di cui soffrono tanti giovani, vittime di schemi culturali privi di senso o di ideologie che non offrono norme morali elevate e precise. Questo relativismo morale genera egoismo, divisione, emarginazione, discriminazione, timore e sfiducia nei confronti degli altri».
Castro è colpito dalla capacità del Papa di infondere coraggio nei giovani, esortandoli a farsi carico della propria vita e a servire il prossimo, come è riaccaduto anche a Cuba. Il problema, tuttavia, sta nel fatto che il leader cubano vorrebbe fondare un'etica per la sua gente senza alcuna base ontologica che, come il Papa ha continuamente ricordato, è la realtà di un rapporto personale con Cristo. Tale rapporto è stabilito nel Battesimo, sostenuto e alimentato dai sacramenti, vissuto nella comunione con Cristo e con gli altri uomini creata dall'Eucaristia si chiama "Chiesa" e sperimentato come partecipazione e amicizia con tutto ciò che c'è di autenticamente umano.
A Camagüey Giovanni Paolo II lo ha detto esplicitamente: «La fede e il comportamento morale sono uniti. In effetti, il dono ricevuto porta a una conversione permanente per imitare Cristo e ricevere le promesse divine. Nel Vangelo che abbiamo ascoltato un giovane chiede a Gesù cosa deve "fare", e il Maestro, pieno d'amore, gli risponde come deve "essere"».
Se Fidel leggerà quel libro, forse potrà scoprire perché l'incontro col Papa l'ha tanto affascinato; potrà scoprire la Presenza che ha incontrato nel Santo Padre, alla quale è stato unito per sempre quando ha ricevuto il Battesimo. Potrà incontrare Gesù Cristo.
«La storia mi assolverà» ha detto Castro una volta. Ma la storia non assolve e non condanna. La salvezza viene solo dall'offerta corpo e del sangue di Gesù Cristo, elevati dal Papa sulla Plaza de la Revolución, alla presenza di Castro.