Tracce N.2, Febbraio 2003

Giovani e tempo d'America
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Tracce dedica ampio spazio a un Forum sulla condizione giovanile.

Le generazioni di giovani che si sono susseguite in questi decenni hanno trovato un mondo che sta cambiando, le cui caratteristiche, il cui “clima” sta modificandosi. Oggi la sfida maggiore riguarda l’esser giovani in un mondo dominato dalla paura e dalla incertezza.
Dopo decenni segnati dalla tensione alla ricostruzione (dopo i grandi eventi bellici che segnarono la storia mondiale) ci sono state generazioni di giovani la cui attenzione è stata catalizzata via via dall’utopia e dall’ideologia. Si è trattato dell’ideologia che legge tutto in chiave politica o, in modo solo apparentemente opposto, dell’ideologia che più recentemente legge tutto in vista del successo o della riuscita individuale. In entrambe le versioni, l’ideologia tende a offrire una risposta parziale alla domanda di totale soddisfazione che segna con più immediatezza il cuore e la ragione di chi è giovane.
La creazione di una specie di paradiso in terra, da un lato, o semplicemente la realizzazione di un piccolo paradiso di proprietà individuale, sono stati la proposta con cui molti giovani hanno confrontato la propria esistenza. Uscendone con varie forme di insofferenza e di delusione, o consegnandosi a una vita ultimamente cinica.

Oggi qualcosa sembra cambiato. O meglio, quelle proposte hanno lasciato sul campo il loro frutto. Permangono ancora quelle forme di ideologia, più o meno mascherate e acutizzate nei loro slogans e nelle loro seduzioni, ma si va affermando prepotente un sentimento nuovo: la paura.
Lo ha detto Giovanni Paolo II di recente: «Mai come in questo inizio di millennio, l’uomo ha percepito come il mondo da lui plasmato sia precario. Sono impressionato dal sentimento di paura che dimora sovente nei nostri contemporanei».
Essere giovani in un’età di paura è come avere il cuore controcorrente: mentre tutto nella persona tende a trovare qualcosa che soddisfi pienamente il desiderio di bellezza, di verità, di giustizia, quel che si incontra e che viene proposto pubblicamente e privatamente sembra segnato da una condanna di precarietà, di incertezza, di dubitosità.
La mancanza di adulti che siano presenze, portatori di speranza positiva, di certezza costruttiva nell’esistenza lascia molti giovani in una solitudine immensa, riempita dai facili e a volte terribili “giochi” oggi a facile portata, quando non da forme assurde di lotta contro il senso di vuoto.
Eppure, tra i ragazzi e le ragazze di questa epoca la domanda di qualcosa che risponda alle esigenze elementari del cuore, come raccontano i nostri “forum”, emerge incontenibile di fronte a circostanze, grandi o minuscole, del vivere. Occorre non temere tali emergenze.

Nella società americana questo è evidente. Il dramma sta nel trovare veramente quel che soddisfa la vita, e la vita come è, con i suoi limiti e i suoi precipizi, non la vita delle soap opera. Questa è la vicenda, splendida e tremenda, che va in scena nel teatro americano, e che vale per tutti. C’è qualcosa di potente che urge la libertà umana a tentare le strade per una risposta positiva che soddisfi l’attesa del cuore e non rimanere, quindi, eterni insoddisfatti (quanta cultura, film e musica sono venuti dagli States con questa tremenda notizia).
Mentre va in scena questo dramma, come in un grande teatro tra effetti speciali e tragedie collettive e personali reali, si aggira per l’America di nuovo una notizia diversa, impensabile, anzi si vive la novità di quell’Avvenimento che ha cambiato il corso della storia, volgendolo verso l’inizio del compimento. In questo numero di Tracce ci sono i racconti di gente americana - tanti sono di giovani -, che vive le condizioni più diverse (un capitano dell’esercito, persino un detenuto speciale). La loro vita è stata toccata da un incontro che ha gettato nel cuore di essa il seme di un inizio di soddisfazione eccezionale. Il loro racconto fa parte del nostro dramma, come stupore e come testimonianza. E fa mancare il respiro, come il blues migliore.

Tempo fa, Pasolini vedendo che Moravia invitava un padre a cercare di “capire” il figlio, obiettò: «E dopo che l’ha capito? Un uomo che ama agisce». Cioè è presente, indicando la speranza che lo sostiene.