Tracce N.2, Febbraio 2005
Supremo segno di speranzaLeggi
Cinquant’anni fa moriva Paul Claudel. Sulla sua opera e sulla sua figura
proseguono le discussioni. C’è chi lo disprezza e chi lo considera
uno dei grandi. Ma quel che a noi importa è che la sua arte ci abbia lasciato
alcune grandi opere. Come la meraviglia intensa de L’Annuncio a Maria.
Uno dei suoi personaggi è Pietro di Craon, il costruttore di cattedrali.
Nel dramma che mette in scena le diverse figure dell’amore umano, egli
porta su di sé il segno tremendo della lebbra. La sua statura non consiste
nella sua invulnerabilità. Egli conosce il limite, è stato segnato
da un marchio. Eppure la sua figura di costruttore compie la nobile vocazione
di essere un uomo che edifica un luogo utile alla vita e al destino di tutti.
Pietro di Craon, dice Claudel, «non vive allo stesso livello» degli
altri. La sua vocazione è speciale. Non ha casa come gli altri, non vive
rapporti come gli altri.
In questi ultimi tempi, il grande evento dello tsunami ha obbligato tutti a riconsiderare
quale sia la autentica dignità dell’essere umano, se così rapidamente
e “facilmente” la sua vita può essere travolta ed eliminata.
Già gli antichi, dai Salmi ad Omero a Virgilio, e su fino ai nostri Leopardi,
Montale, Ungaretti si erano concentrati su questa grande questione. Al loro confronto,
tante brodose riflessioni, tanti inutili sofismi letti o ascoltati in questi
tempi sono parsi chiacchiericcio banale.
E anche su altre questioni - come il dibattito sulla sperimentazione sugli embrioni
- si agitano simili problemi.
Che cosa c’entra Pietro di Craon con tutto questo? La sua entrata in scena,
si può ben dire, è l’entrata in scena dell’uomo cristiano.
Egli sa che l’esistenza umana porta in sé un limite. Ha provato
la superbia di sentirsi come Dio, infatti ha cercato di possedere tutto ciò che
voleva, e in particolare Violaine, che non era per lui. Da quella esperienza è uscito
segnato dal marchio della lebbra, del limite. Nessuno sa che cos’è il
cristianesimo, ha scritto Péguy, come il peccatore, oltre al santo.
Pietro di Craon è l’uomo che non pretende più di essere misura
di tutte le cose, e che dunque non vive più il limite proprio o della
natura come scandalo. Per questo il cristiano avverte la natura “sorella”,
come scrisse il primo grande poeta italiano, san Francesco. Sorella, non madre,
né matrigna. Fatta, come noi.
La statura dell’uomo non sta nell’illusione di essere padrone del
mondo. La vita va servita, soprattutto, come fanno tanti Pietro di Craon, costruendo
e così indicando la positività dell’Essere - non della natura
divinizzata in se stessa -. Come quel missionario che in uno dei luoghi devastati
dal maremoto soccorre i bisognosi, custodisce la sua chiesa e coltiva orchidee
come supremo segno di speranza.