Tracce N.3, Marzo 2004

Maria, la prima contemporanea di Gesù
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Parlando a Minneapolis durante la presentazione del libro di don Giussani Perché la Chiesa, il nuovo arcivescovo di Boston monsignor Sean O’Malley ha citato il settimanale inglese The Economist, che ha dedicato la copertina alla Madonna e alla devozione di cui è oggetto tra ebrei, cristiani e musulmani. Tutti i media sono coi fari puntati sull’uscita di The Passion, il film di Mel Gibson che racconta le ultime ore della passione di Cristo. Su la Repubblica lo scrittore Pietro Citati ha dedicato il grande articolo del paginone della Cultura alla crocifissione di Gesù narrata dai Vangeli. Carlo Ossola, membro del Collège de France, ha svolto l’ultima lezione (di una serie che ha visto riuniti a Parigi i maggiori studiosi di poesia) intorno alla rappresentazione della Vergine nell’Inno di Dante del Paradiso.
Sembra che la figura di Cristo e di Sua Madre vivano un momento di grande popolarità. Non è la prima volta, certo, che la cultura, i media e il cinema vi si dedicano. Ma in questi ultimi anni sembrava che l’interesse per il fenomeno religioso si contentasse di dipingere anche la fede cristiana come confuso sentimento dell’esistenza, come una variabile new age, o al massimo come filosofia di comportamento.
Maria e Gesù, invece, continuano a suscitare interesse. Per quanto confusamente, si comprende che lì, nella realtà storica di Gesù, e in quella di Colei che lo ha generato, ha origine la rivoluzione più grande della storia. E dunque non cessano i tentativi per rendere quelle figure più vicine, più contemporanee ai nostri giorni, e dunque più vicine alle nostre felicità e alle nostre pene: averli qui, Gesù e Maria, nella faccenda dei giorni, e nella possibile angoscia. Averli qui come rinnovarsi dell’umano, come ripresa sempre.
La contemporaneità a Cristo è ciò che qualifica la fede: riconoscimento di una Presenza. Se così non fosse, la fede si ridurrebbe a uno sforzo soggettivo, per quanto pio, di immaginazione. Lo aveva capito bene Kierkegaard, che scrisse nel suo Diario: «L’unico rapporto etico che si può avere con la grandezza (così anche con Cristo) è la contemporaneità. Rapportarsi a un defunto, è un rapporto estetico: la sua vita ha perduto il pungolo, non giudica la mia vita, mi permette di ammirarlo... e mi lascia anche vivere in tutt’altre categorie: non mi costringe a giudicare in senso decisivo».
L’immaginazione stanca, invece l’amicizia rinnova. Il metodo con cui Cristo si rende contemporaneo è la Chiesa, la sua vita di sacramento e di amicizia.
Esistenzialmente, il senso della Chiesa si coglie attraverso l’incontro con un’amicizia. E proprio essa è il culmine della vita della Chiesa. Infatti fin da quando si radunavano in uno sparuto gruppetto sotto il Portico di Salomone a Gerusalemme, l’amicizia tra i cristiani è stata sempre il motivo di scandalo o di conversione per chi li osserva con animo malevolo o con animo libero. Fatti di amicizia sono quelli che hanno rinnovato e rinnovano il volto della Chiesa, e delle sue comunità in tutto il mondo.
Si tratta di un’amicizia diversa da tutte le altre, non fondata sull’interesse o sulla “corrispondenza” di temperamenti. Un’amicizia che non censura, che non ha scandalo del male. Che non bada a null’altro, se non che in tutto - dalla vita personale all’impegno culturale, sociale e politico - sia più semplice per ciascuno «lasciare accadere il proprio sì» (come ha detto a Minneapolis monsignor O’Malley) alla presenza di Dio. Come avvenne a Maria, la prima contemporanea di Gesù.