Tracce N.3, Marzo 2006

Il volto, il giudizio, la vita
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Le elezioni sono un momento di sintesi, in cui le analisi, le opinioni, le contraddizioni che animano una società giungono a giudizio. Che è al tempo stesso un giudizio su quel che una nazione ha vissuto e sulla strada che intende percorrere. La cosa peggiore è arrivare a un momento così importante contentandosi di basare il proprio gesto sulla superficialità di valutazioni, di luoghi comuni o di impressioni. Un uomo educato a usare la ragione non sopporta né che la politica diventi la cosa più importante della vita, né che sia ridotta a puro gioco di opinioni e di slogan. Non ci interessa la politica per la politica, né una politica che finga di non essere quel che è: un conflitto e una tentata composizione di interessi.
Tanto più una società è viva, quanto più la politica è importante e sollecitata a rispondere con progetti e misure adeguate a quella vivacità. Per questo abbiamo sempre affermato che «la prima politica è vivere». Vale anche oggi, in un momento in cui una certa lontananza della politica dalla vita reale della società è favorita da diversi fattori (ad esempio, le leggi elettorali e la polarizzazione che non rappresenta le reali diversità di culture e di tradizioni presenti).
Quello slogan accompagnò i primi passi di una baldanza ingenua che ci ha portato a interessarci di tante questioni incontrate nella vita della nostra società: il lavoro, il rispondere al bisogno dell’altro, la voglia di creare opere per il bene delle famiglie e del nostro popolo.
Abbiamo compreso che il giudizio valido in politica è il medesimo che muove nella vita. Che le presunte separazioni di ambito sono fasulle e frutto di astuzia. Che la divisione della vita in “sfere” in cui valgono giudizi diversi è, specialmente per un cristiano, un espediente per coprire il perseguimento del potere anche a costo della propria cultura e identità.
Per questo ci sta a cuore che esista la presenza libera della Chiesa, cioè di quella realtà che ha dato speranza alla nostra vita e che si offre a tutti - anche a coloro che non credono o che non sanno che cosa è la fede - come luogo dove scoprire ciò che muove il cuore dell’uomo: caritas, l’ha chiamata il Papa nella sua enciclica, indicandone i nomi e i volti nella vita personale, e in quella sociale. La Chiesa non è una “bella idea”, magari realizzata con un po’ di difetti. Non è una delle tante ideologie. È una presenza, un fattore vivo e operante nella società. Con i suoi suggerimenti indica, in un’epoca di trasformazioni e quindi di rischi, la natura dell’uomo da non violare e da onorare anche con scelte di legge, per uno Stato che voglia essere laico, ma non disumano. E con la sua dottrina sociale indica le dinamiche, come una maggiore attuazione del principio di sussidiarietà, attraverso cui la politica può rispettare e favorire la libertà nella società. Non solo la libertà di opinione, ma anche quelle di educazione e di costruzione, senza le quali la libertà di opinione è solo un giocattolo in mano a chi può determinarla con i mezzi di informazione e con un indirizzo ipocritamente “neutro” dei luoghi educativi.
Che la Chiesa viva è un bene per la vita della società, come dimostra il livello di sviluppo, di libertà e di benessere presenti nelle terre dove la presenza del cristianesimo è stata più feconda e duratura. Alla politica chiediamo di tenere conto e non di “sopportare” tutto questo. Lo chiediamo con il voto, con il giudizio, e con la vita.