Tracce N.3, Marzo 2013

Lui, e niente altro
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Ora, forse, iniziamo a vedere. C’è voluto tempo, certo. Come accade davanti a un fatto così imponente, così capace di stravolgere la nostra misura, da richiedere un cammino lungo perché cuore e ragione si allarghino a fargli spazio. Ma adesso, forse...
Domenica 24 febbraio, Benedetto XVI ha recitato il suo ultimo Angelus. Centomila persone in piazza, milioni collegati in diretta. E a molti è venuto in mente un altro Angelus, una domenica di maggio di tre anni fa. San Pietro era stracolma di fedeli, arrivati con l’idea di manifestare il loro affetto a un Pontefice sotto tiro per la campagna di stampa sullo scandalo-pedofilia. Alcuni di loro s’erano ritrovati capovolti. Prima da una frase di don Julián Carrón, la guida di Cl («guardate che non andiamo a Roma per sostenere il Papa, ma per essere sostenuti da lui»), poi dall’impressione vivissima data proprio da lui, da quell’uomo che visto dal colonnato sembrava ancora più piccolo, quasi un puntino bianco, eppure così saldo e forte da potercisi davvero appoggiare. Da sostenere tutto il peso non solo di quei giorni, ma della Chiesa.
Bene, è la stessa immagine che molti hanno portato con sé anche dall’ultimo Angelus. A quella finestra c’era un uomo più anziano, dall’apparenza ancora più fragile - anzi, così fragile da ammettere di aver bisogno di «un modo più adatto alla mia età e alle mie forze» per servire la Chiesa. E tuttavia in grado di trasmettere al suo popolo quello che si respirava in piazza: una serenità impensabile. Una letizia imprevedibile, pur nel dolore del distacco. In una parola, una libertà potente. Perché? Da dove viene quella forza?

Molti, moltissimi sono stati segnati da questo Papa. Dalla sua paternità. Dal rigore pacato e affascinante del suo insegnamento. Dalla limpidezza con cui ha spiegato il cristianesimo rendendolo accessibile a tutti e interessante per molti, anche per i “lontani”.
Ora, però, vediamo di più. E capiamo di più. Il cuore di tutto, la cifra di questi anni, viene prima di tutto ciò, e lo attraversa: è la fede di Joseph Ratzinger. Il suo abbandono totale a Cristo. La sua testimonianza, così limpida da farsi via via addirittura trasparente, come a voler sfrondare tutto, ogni apparenza, perché davanti ai nostri occhi potesse semplicemente accadere un fatto: Cristo. Lui, e niente altro. Un fatto così solido da reggere a ogni sfida e ogni circostanza, come ha detto lo stesso Benedetto chiudendo il suo ultimo, bellissimo discorso ai parroci di Roma: «Sarò sempre con voi. E insieme andiamo avanti con il Signore, nella certezza: vince il Signore! Grazie!».
Vince Cristo, sempre. È Lui a sostenerci. Sarà Lui a farlo pure durante e dopo il prossimo Conclave, quando un altro «umile operaio» sarà chiamato a lavorare «nella vigna del Signore», e anche attraverso la sua opera, nel tempo - nel tempo: che dono prezioso di Dio è poter vedere la Sua Potenza dispiegarsi nel tempo, della storia e delle nostre vite! - si vedrà quanto siano povere e sterili le analisi con cui di solito pretendiamo di leggere la Chiesa (le lotte di potere, i limiti, le debolezze) e in fondo la realtà, e quanto, invece, conti una sola cosa, l’unica capace di illuminare tutto: la Sua Presenza. Cristo risorto.

Per questo il Tracce che state per sfogliare non è un omaggio al passato, ad un Pontefice che lascia per entrare nella storia: è un invito a guardare un Fatto presente. Qualcosa che giudica tutto: le elezioni, la guerra, la cultura... Qualcuno che illumina la vita. Perché ha vinto la morte. Buona Pasqua.