Tracce N.3, Marzo 2015

La strana gratitudine
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Non è merce così comune, la gratitudine. Certo, capita di vederla affiorare per un gesto inatteso, un regalo che si riceve, un fatto. Ma quasi sempre evapora in fretta. Difficile vederla durare. Difficile, soprattutto, che diventi la stoffa con cui ci si alza al mattino e si inizia a tessere il filo delle fatiche quotidiane. Tantomeno quando l’aria che tira è tesa e brutta. E non è che di questi tempi ci sia molto da stare sereni, con tutti i fronti aperti che la realtà ci presenta e di cui trovate conto anche in questo Tracce.
Eppure, se c’è una parola che ci vediamo spuntare attorno di continuo, in queste settimane, è proprio quella: gratitudine. Detta, ma soprattutto vissuta. Basta incrociare certi volti commossi dopo aver visto il dvd su don Giussani, uscito pochi giorni fa con il Corriere della Sera. O la gente che esce da una delle messe che ricordano in tutto il mondo il fondatore di CL, a dieci anni dalla sua salita al cielo. Oppure, ancora, basta respirare in giro - perfino in Rete - il fermento per l’attesa di un momento storico come l’udienza del 7 marzo, con papa Francesco in Piazza San Pietro. Il sentimento più diffuso è nettamente quello: gratitudine. Non di uno, o di alcuni: di un popolo. Una gratitudine che «cresce con il passare del tempo», come ha detto don Julián Carrón in un’intervista, perché più andiamo avanti, più ci rendiamo conto del tesoro che abbiamo tra le mani.

Ora, come in tutte le cose che ci riguardano da vicino, l’esperienza non mente. Ci si scopre grati, e non dipende da noi. E ci si scopre grati per qualcosa che c’è, che è vivo, «cresce nel tempo», appunto, e ci parla oggi. Non per un passato.
Allora bisogna guardarla bene, questa strana e lieta gratitudine che ci portiamo addosso e che pure ha una forza tale da sfidare anche la pesantezza del presente, dei tanti drammi del presente. Bisogna guardarla perché non è qualcosa di sentimentale. Ha dentro tutto, ad accorgersene. Contiene una dinamica così potente che, a rendersene conto, aiuta a vivere.

È grato un cuore che attende e che riceve una grazia, ora. E se la gratitudine regge all’urto così difficile del reale, vuol dire che quella grazia è così preziosa che è decisiva per vivere. È questo che sta accadendo in questi giorni: dei cuori in attesa e la presenza di Chi li riempie, donando se stesso. «Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo», come disse don Giussani davanti a papa Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro, nel 1998.
È la stessa parola che troverete più avanti, nella “Pagina uno” di questo giornale. «Andiamo a Roma per mendicare la fede», ricorda don Carrón. Mendicanti. Grati perché la Chiesa c’è. Il Papa c’è. E la vita è possibile.