Tracce N.4, Aprile 1998

Incarnazione!
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Ci sono occasioni in cui, con maggior evidenza, la Chiesa diviene oggetto di attenzione e divide il campo dei commentatori. Occasioni in cui, lasciati i panni di una sostanziale indifferenza o di un ossequio formale, i cosiddetti "osservatori", e non solo loro, sentono il dovere di giudicare la Chiesa o di interpretarne le iniziative e le prese di posizione, spesso in modo riduttivo e strumentale.
Si tratta di quelle occasioni in cui la Chiesa mostra di non essere solo quel che il mondo vorrebbe - come scriveva Eliot: «E sembra che la Chiesa non sia desiderata/ Nelle campagne e nemmeno nei sobborghi; in città/ Solo per importanti matrimoni» (Cori da «La Rocca») -, ma di avere una missione e di svolgere tale missione anche prendendo posizione su quanto è avvenuto o avviene nella storia.

Lo si è notato recentemente in due occasioni molto diverse tra loro, ma analoghe: la pubblicazione del documento vaticano sulla Shoah e il messaggio all'Assemblea nazionale della Compagnia delle Opere del Segretario generale della Cei, monsignor Antonelli, a sostegno della battaglia culturale per la difesa del principio di sussidiarietà nella riforma della Costituzione.
In entrambi i casi si è assistito a diversi tentativi di ridurre il valore delle due iniziative entro un'interpretazione di carattere meramente politico, con le conseguenti code polemiche.
Evidentemente la Chiesa, se volesse ottenere il consenso dei potenti di turno, dovrebbe fare una cosa molto semplice: occuparsi solo delle questioni "dalle nuvole in su", non avere a che fare con la storia, attestandosi sulle cosiddette problematiche spirituali, lasciando che alle temporali pensino altri. Come se lo Spirito fosse una forza inerte, sterile, inincidente. Dovrebbe, insomma, accontentarsi di un posto di second'ordine all'inutile tavolo dei "saggi" che producono discorsi sull'uomo e sulla vita.

Invece succede il contrario, per due motivi:

- innanzitutto la Chiesa giudica e giudicherà le cose della storia, poiché essa è presente nel mondo portando l'esperienza, e dunque il punto di vista, di un popolo, di una parte, di una realtà sociologicamente rilevabile - «un'entità etnica sui generis», come ripeté accorato Paolo VI nel luglio del '75 -, investita da una forza dall'Alto, cioè dall'avvenimento di Cristo morto e risorto;

- in secondo luogo, ed è ciò che maggiormente "infastidisce", i fattori che muovono tale esperienza e i giudizi che essa genera non sono ultimamente riconducibili ai criteri che usano tutti gli altri "partiti": non v'è innanzitutto calcolo di tornaconto politico e sociale, non v'è strategia per il raggiungimento di un'egemonia nella società, non v'è nemmeno la preoccupazione di essere à la page, ovvero la ricerca del consenso. Il primo fattore che muove l'azione della Chiesa nel mondo è l'obbedienza a Cristo presente nel suo Corpo misterioso, l'immedesimazione - che è una conversione - con il Suo stesso "incredibile" amore per l'uomo e per la sua storia.

Una sola, infatti, è la preoccupazione della Chiesa nel suo movimento tra gli affari del mondo: che gli uomini non offrano il loro cuore e la loro ragione a falsi dei, vale a dire che la libertà e il valore della persona non siano sacrificati sull'altare di idoli oggi tanto dominanti quanto sfuggenti, come la moda e la pretesa di potere assoluto dello Stato. Quando tale conversione è viva negli uomini della Chiesa, essi si trovano necessariamente, anche senza volerlo e senza dover chiedere il permesso a nessuno, a giudicare e a spendersi con generosità per il bene di tutti.