Tracce N.4, Aprile 1999

Unità, libertà e carità
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Proponiamo come editoriale la lettera che don Giussani ha inviato ai sacerdoti della Fraternità Sacerdotale dei Missionari di san Carlo Borromeo
in occasione del riconoscimento pontificio


Cari amici, la nostra sicurezza, e quindi gioia, è grande in questo giorno in cui Sua Santità riconosce ancora una volta l'autenticità ecclesiale del carisma di Comunione e Liberazione, metodologicamente fondamento e scopo della vostra Fraternità Sacerdotale.

La nostra epoca è quella più simile agli inizi della Chiesa, quando il dilatarsi della fede nel mondo segnava il contesto con tre fattori: unità, libertà e carità, una umanità cioè diversa e una società diversa.
Si vive ancora oggi in Occidente dei frutti temporali, cioè constatabili nella storia, di questa carità, ma pochi sanno, perché non viene loro proposto, da dove essa fluisca. Essa fluisce di fatto dall'Avvenimento più grande del mondo: Dio si è fatto uomo e nel regno dell'uomo, che si appoggia sempre sul possesso e quindi sulla violenza, ha fatto entrare il fiume dell'amore, cioè della possibilità dell'unità o del Regno di Dio.

Nel nostro carisma un'unità umana è percepita e vissuta nel suo contenuto ontologico, da cui tutto deriva, che è dato dal Battesimo, sacramento in cui Cristo si dà a ognuno assumendo ogni eletto come parte del Suo Corpo visibile nella storia.
Il vantaggio umano di questa unità ha la sua sorgente in quello per cui Cristo muore, vale a dire il rapporto vissuto dell'io creatura con il Dio creatore, cioè la nostra libertà. In questo senso la nostra unità può avere forme diverse, perché nasce dallo stesso carisma, che è dono dello Spirito di Cristo.
Questa unità viene dalla coscienza di una realtà nuova, tutta tesa a una morale che nasce innanzitutto come esperienza di gratuità; essa è l'estrema punta umana nella storia per cui l'uomo imita Dio che è carità.
Amici, eravamo estranei l'uno all'altro e nella carità di Cristo ci si

Siccome tutto il valore dell'uomo è per grazia, il processo di compimento nell'umano non può avvenire che per la presenza di Cristo.
Siamo uniti, così come ora permaniamo nell'unità in cui Cristo ci ha coinvolti.
L'attuarsi del carisma che ci è stato dato nella libertà, nella Chiesa resa come "aula dei figli di Dio", incidendo sulla modalità di concezione dei rapporti con tutto il mondo e con tutta la storia, non può non creare opere e quindi mutamenti consistenti nella vicenda dell'uomo; in particolare il passaggio da un'epoca di barbarie ­dopo il peccato originale l'uomo non può vivere i rapporti se non come pretesa di violenza ­a un'epoca di civiltà, dove la persona è il centro del cosmo e di tutti i rapporti con esso che il Mistero rende esistenziali.

L'unica civiltà che nella memoria della nostra storia è quasi arrivata a penetrare tutto il mondo, ancora oggi documentabile nei punti in cui essa ha iniziato questo svolgimento, è quella cristiana.
La mondanità - ovvero il potere - che si oppone a ciò che è sano e che si sviluppa incancrenendo sempre tutto, condannando tutti e lasciando ognuno senza possibilità di difesa, rappresenta il nemico di questo Avvenimento divino. Per questo il cristiano educato al nostro carisma sente seriamente tutta l'angoscia e la provvisorietà della risposta anche migliore ad essa e allo sguardo di questa piazza umana, offrendo la propria presenza come servizio a ogni uomo e diventando sorgente di una trama di rapporti in cui la fraternità di Cristo è tutta la legge.

Amici cari, vi dico tutto questo perché l'intelligente passione che la vita in Cristo fa nascere chiede lo schieramento di tutte le forze che Dio ha richiamato in Cristo per contrastare la tragica vittoria, storicamente parlando, del Male sul Bene e per vivere il sacrificio, anche mortale, che può accompagnare la vittoria della Chiesa sul Male.
Che io vi trovi tutti presenze collaboranti alla mia debolezza e alla mia buona volontà e Dio possa guardare la nostra vita nella stupefatta evidenza che quello che il carisma ha iniziato in me sia potenziato in voi dalla misericordia, che è il nome più appropriato alla natura del Mistero e che forma quindi il cuore della missione in cui la vita esaurisce il suo senso.
È per questa misericordia che io sento segno della nostra elezione sacerdotale missionaria l'amatissima figura di monsignor Massimo Camisasca, con cui quella unità che mendico dallo Spirito per la gloria di Cristo nel tempo è grande, come grande è la sicurezza per tutto quanto la volontà del Mistero farà del futuro.

Milano, 19 marzo 1999