Tracce N.5, Maggio 1998

Onore alla ragione
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Il filosofo Gianni Vattimo ha scritto: «Della Sindone e della sua ostensione che si svolge in questi giorni a Torino avrebbero buone ragioni di tacere sia i non credenti, per i quali, autentica o falsa che sia, non è che una testimonianza di superstizione, sia i credenti, per i quali anche se fosse l'autentico lenzuolo funebre di Gesù, rischia comunque di rendere impura la fede legandola a un oggetto troppo esteriore per non compromettersi fatalmente con la materialità più quotidiana» («Sospesi tra fede e ragione», La Stampa, 19 aprile 1998). Domandiamoci: di quale fede parla Vattimo? Non certo di quella tradizionale cattolica. Questa, infatti, gioca tutta la sua attendibilità nella storia e non teme di "compromettersi" con la "materialità più quotidiana". In definitiva è proprio questo che qualifica la diversità della posizione che nasce dalla fede da quella che proviene dalle mille e mille ideologie che nascono da preconcetti. La prima, infatti, si sottomette all'esperienza, la seconda si impone alla realtà sviluppando la logica di un discorso.

Parlando agli Esercizi della Fraternità di Cl, a Rimini, don Giussani ha detto: «La fede è razionale, in quanto fiorisce sull'estremo limite della dinamica razionale come un fiore di grazia, cui l'uomo aderisce con la sua libertà. E come fa l'uomo ad aderire con la sua libertà a questo fiore incomprensibile come origine e come fattura? Aderire con la propria libertà significa, per l'uomo, con semplicità riconoscere quello che la sua ragione percepisce come eccezionale, con quella immediatezza certa, come avviene per l'evidenza inattaccabile e indistruttibile di fattori e momenti della realtà, così come entrano nell'orizzonte della propria persona».
Per un cristiano, dunque, la fede è innanzitutto una questione di ragione. Non a caso, negli ultimi anni della sua vita, Paolo VI aveva guardato al problema con accento drammatico: «Ciò che mi colpisce quando considero il mondo cattolico è che all'interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico e può avvenire che questo pensiero non cattolico all'interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa» (in J. Guitton, Paolo VI segreto, 1977).
Ciò che qualifica un pensiero cattolico è l'avvenimento di Cristo presente: l'Incarnazione è il punto in cui la realtà mostra ciò di cui è fatta, Dio tutto in tutto. Che la realtà sia fatta di Dio è una scoperta di ragione, della ragione di un uomo toccato dall'evento di Cristo: perciò egli sta dinanzi alle cose, a ciò che accade e alle persone con la stessa stupita disponibilità da cui è caratterizzato l'atteggiamento dei bambini.

L'arma dei preconcetti, attraverso i mass media e la mentalità comune, ci viene continuamente messa in mano come se fosse la più adeguata e scaltrita per affrontare i problemi e le occasioni che la vita presenta. Ma essa si mostra irriguardosa nei confronti delle esigenze più autentiche e, quando si sviluppa in ideologia, anche violenta nei confronti della realtà.

In questo senso il pensiero cattolico ha più ragione di altri, poiché coincide con un atteggiamento di "stupore", di apertura indomabile alla realtà. Si può dire che tale pensiero nasce da un'estetica, vale a dire dall'esperienza di una attrattiva che la realtà esercita, se la si riconosce fatta di Dio. Lo ha ricordato ancora don Giussani a Rimini - citando un Padre della Chiesa -: «I concetti creano gli idoli, solo lo stupore conosce». E poco prima: «Senza conoscenza non c'è esperienza, manca il livello umano del vivere, e perciò non c'è cambiamento dell'umano. Perciò tutto il metodo pedagogico del nostro movimento, che tenta di imitare il più possibile quello che Gesù ha utilizzato per fare la Chiesa, è quello di introdurci in una esperienza».

Con queste parole negli occhi e nel cuore partecipiamo al grande incontro convocato da Giovanni Paolo II il 30 maggio a Roma con tutti i movimenti: esso non è solo un'occasione di riconoscimento del valore e della funzione dei carismi nella Chiesa, ma un gesto che rende supremamente onore alla ragione dell'uomo.