Tracce N.5, Maggio 2001

Io sono un grido infinito
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Sui muri delle nostre città e sui media di ogni genere da molti mesi sono in corso campagne pubblicitarie che hanno un tratto comune: insistono sull’io. «Perché io valgo», dicono alcuni famosi (e ricchi) testimonial impugnando un profumo o non so cosa. Un automobile si presenta come diversa da tutte perché «assomiglia a te». L’io, dunque, sembra esser tornato in voga, almeno tra i pubblicitari. Merito delle convinzioni degli uomini di marketing che spingono a “personalizzare” il più possibile i prodotti? Probabilmente, il termine “io” evoca in tutti qualcosa di importante. Alcuni osservano che siamo di fronte a una evoluzione dell’individualismo: si insiste sull’io poiché ormai poche sono le cose sentite come comuni. Ciascuno si sente in fondo una persona isolata e quindi è su questo aspetto di individualismo e di amor proprio che si deve puntare: è questo il ragionamento che fanno i signori della pubblicità.
Ed è un ragionamento che, secondo molti, non fa una piega. Però è sbagliato, evidentemente sbagliato e tendenzioso.
Se, infatti, domandassimo a bruciapelo a un largo numero di persone: «Chi sei tu?» o meglio: «Che cosa è il tuo io?», probabilmente otterremmo una serie di balbettii e di mezze frasi il cui significato più o meno sarebbe: «Io sono amico di… io sono il figlio di… la morosa di….» oppure: «Sono quello che va in quella scuola… io sono uno di Milano o di Trapani».
Insomma, quel che immediatamente, anche alla superficie, inizia la definizione del nostro io è la serie dei legami che lo qualificano. L’impegno con tali legami, a partire da quelli naturali con padre e madre, fornisce una prima traccia di chiarezza circa la natura dell’io. Tanto più un legame sarà importante quanto più mi sembrerà decisivo per definire me stesso. Per questo motivo quando si è colpiti da una perdita (un lutto, un amicizia o un amore che terminano) ci si sente come smarriti, come un po’ più ignoti a se stessi.
Leopardi conclude l’inno Alla sua donna, segno dell’ideale perduto o forse mai esistito, definendosi “ignoto amante”. Ignoto a se stesso, anzitutto. «Ed io che sono?» aveva gridato al cielo il suo Pastore errante.

Nel nostro tempo la cultura e il potere dominanti hanno sistematicamente favorito l’immagine di un uomo privo di legami, definito dunque da una sete di affermazione di sé, che si affida alla brevità delle occasioni di tornaconto, e ultimamente succube delle mode e degli indirizzi prevalenti. Un io slegato e fluttuante, ridotto in balìa di sentimenti brevi, affamato ciecamente di un che di infinito che però fugge da ogni oggetto che pare prometterlo.
Anche un importante e popolarissimo cantante italiano ha lanciato il suo ultimo disco con una canzone che termina ripetendo per tre volte: «Siamo soli». Ed è una ripetizione piena di disperato desiderio che non sia però l’ultima parola. A questo comune sentire, che nelle sue punte più acute e serie diviene domanda e inquietudine (Pasolini: «Io sono un grido infinito»), che cosa propone l’esperienza cristiana coscientemente vissuta?

Non una teoria sull’io, né una raffinata psicologia: ma una scoperta. L’io viene scoperto - come si scopre una terra nuova, un nuovo panorama -. Nell’incontro con l’avvenimento cristiano, si scopre che l’io è continuamente generato da un Padre, entrato nella storia e fedele. E il segno più evidente di questa generazione che continua per tutti i giorni della vita di un uomo è l’essere posto dentro un popolo.
Il senso, la coscienza della propria origine, e dunque del proprio destino, coincide con l’appartenenza a un popolo: è questo che i poteri del mondo non hanno mai sopportato degli ebrei e dei cristiani; l’esistenza di questo popolo, infatti, limita la possibilità della mentalità dominante di pervadere l’io di tutti, e mostra che l’origine e la dignità delle persona non risiedono in ciò che è fissato dalle leggi dello Stato o dalle mode e ideologie dominanti.

Dalla scoperta dell’io e della sua consistenza viene la disposizione a operare nella realtà, nel proprio ambiente e nella società, affinché l’io di tutti sia difeso e promosso. E non solo come trovata pubblicitaria...