Tracce N.5, Maggio 2005

Una umanità che Dio è venuto a salvare
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Il nostro tempo - e specialmente il secolo appena trascorso - ha sempre fatto appello ai desideri degli uomini. Ne hanno parlato tutti: filosofi, medici, politici, mercanti, pubblicitari. Spesso esaltandoli e, al tempo stesso, spesso impoverendone il significato. O piegando i desideri umani a disegni di dominio, sempre generando inimicizie e violenze d’ogni genere.
Il desiderio è stato sbandierato come la chiave principale per entrare e interpretare l’animo umano. Ma spesso si è parlato di desiderio e si indicava invece qualcosa d’altro: pulsioni automatiche e istintuali, progetti, sogni, utopie. Così si è fatta molta confusione, sia volendo che non volendo. Il desiderio, per sua natura, è qualcosa che l’io ha, come uno spazio che però non può colmare con le proprie forze. Si desidera qualcosa che non si riesce a darsi da soli. Si tratta di un’apertura. Di una fame e sete. Ed ha un’altra caratteristica: non finisce mai. Anche quando investe un oggetto che si è fissato come possibile fine del desiderio, esso prosegue. Lo diceva il grande Rebora: «Qualunque cosa tu dica o faccia/ C’è un grido dentro:/ Non è per questo, non è per questo!».
Sul desiderio umano, su cosa sia, si sono scontrate e accapigliate tante scuole di pensiero.
Ma il problema resta uno, in fondo, come aveva capito bene Leopardi: il fatto che la vita sia così piena, debordante di tale desiderio di compimento, di felicità, è il segno di un supremo suo errore? È il segno che siamo fatti in modo sbagliato? O è il primo, tenue ma certissimo segnale, che siamo creati per un viaggio che si può compiere?

L’annuncio cristiano viene spesso contestato perché “prende troppo sul serio” il desiderio umano. Perché, appunto, non lo considera un segnale di errore dell’uomo. Ma lo colloca all’inizio della avventura della conoscenza, della civiltà e, quel che stupisce di più gli avversari, della salvezza. Come il primo passo, che si rinnova ad ogni avanzare del nostro cammino, dentro ogni circostanza o rapporto. Come il primo indizio di quella umanità che Dio è venuto a salvare a prezzo del morire. Perché di un Dio che non salva e che non compie il desiderio più grande del cuore umano - il desiderio di non essere fatto per la morte -, nessuno saprebbe che farsene.
Papa Benedetto XVI testimonia al mondo che il compimento del desiderio è in una realtà presente, la Chiesa, che prolunga nel tempo la compagnia di Dio all’uomo. E per questo sostiene la nostra speranza.