Tracce N.5, Maggio 2007

A che cosa serve Gesù?
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«A che cosa serve Gesù?». Quante volte ci siamo sentiti rivolgere questa domanda. Quante volte ce la facciamo anche noi. Ce la rivolgono amici che sono curiosi della fede. O altri che invece esprimono così il loro acido scetticismo: «Vedi in che mondo viviamo? E allora a che cosa serve il “tuo” Gesù?». E quante volte ci è sorta, stretti nella prova di un grande dolore, o nello sconcerto di assistere a qualcosa che non credevamo di vedere. Oppure quante volte, mentre sul lavoro, nelle faccende quotidiane ci vengono chieste certe capacità, e veniamo misurati, premiati o sconfitti a partire da quelle, ci siamo fatti quella domanda.
Verrebbe da dire che è una domanda inevitabile. Come sorge in noi, così sorgeva nel silenzioso sbigottimento dei suoi primi amici lungo la strada per Emmaus: «Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele…». E così può capitare di pensare, anche a chi Lo ha incontrato e seguito, di fronte al tempo che passa: «Non servi a nulla».
Il Gesù degli intellettuali, ridotto a profeta di un socialismo utopico e mai realizzato, o a una specie di dispensatore di ovvia bontà, non serve di sicuro. Può andare bene per i dibattiti, per le polemiche giornalistiche o per solleticare il desiderio umano di avere qualche mito o figura eroica in cui identificarsi. Ma questo non basta a soddisfare l’inquietudine che coinvolge i ragazzi, le scuole, i legami familiari e gli assetti economici, sociali e politici. Allora può crescere la tentazione di vivere occupandosi solo di conquistare e mantenere lo spazio della propria autoaffermazione. Costi quel che costi, pronti a lamentarsi per ogni cosa che ostacoli il raggiungimento dei propri interessi o dei propri desideri. Come se le cose veramente utili, che servono per vivere, fossero un po’ di soldi, una certa autonomia e una discreta dose di fortuna. E per chi non ne ha, pazienza.
Poi accade di restare colpiti da una testimonianza: da un fatto, un uomo, la cui carica di positività di vita non ha nessuno dei nomi delle cose che servono; la sua gioia non sta nei soldi, nella riuscita, nel grado di autonomia raggiunto. Ma nel dire: «Tu, mio Signore, Gesù». Uno di questi uomini, uno che si è per così dire messo al pari dei tanti che possono affermare così, è colui che oggi è Papa. Joseph Ratzinger si è messo insieme alle schiere di uomini che testimoniano che Gesù serve alla vita. E ha scritto un libro dove racconta che cosa ha scoperto dell’Uomo di Nazareth. Un libro tra i libri. Come un fatto tra i fatti, o un volto tra i volti. Lo ha fatto per provare a mostrare Chi è. E ha scritto: «Che cosa ha portato Gesù veramente, se non ha portato la pace nel mondo, il benessere per tutti, un mondo migliore? Che cosa ha portato? La risposta è molto semplice: Dio. Ha portato Dio: ora noi conosciamo il suo volto. Ora conosciamo la strada che, come uomini, dobbiamo prendere in questo mondo. Gesù ha portato Dio e con Lui la verità sul nostro destino e sulla nostra provenienza; la fede, la speranza e l’amore. Solo la nostra durezza di cuore ci fa ritenere che sia così poco».
La durezza del cuore è il nostro nemico, e può farci sembrare “inutile” Gesù. Per fortuna siamo circondati da uomini santi e anche da uomini che tanto santi non sono, ma che tuttavia non hanno il cuore duro, i quali nel nome di Gesù con opere manifeste e opere nascoste, con grandi gesti e con gesti invisibili, stanno rendendo la vita più umana. Compresa e costruita rendendo a Dio quel che è di Dio, cioè il senso ultimo di ogni cosa. Si tratta di guardare ogni giorno questi volti per vedere il Suo vero volto, per sconfiggere la durezza del cuore. Nessuna durezza, infatti, può sciogliersi da sola. Occorre qualcuno che ci venga incontro e ci abbracci, diventando compagno di cammino, come fu per i due di Emmaus, che tornarono a casa riscattati dal loro scetticismo.