Tracce N.5, Maggio 2009

«Di che avete paura?»
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Di quella notte pensavamo di sapere tutto. I ventidue secondi della scossa. I crolli. Le vittime. E le macerie, che ormai, tra tg e giornali, vediamo e rivediamo da oltre un mese. Abbastanza per aver voglia di andare oltre e dare spazio al desiderio più vero del cuore, quello che si spalanca un istante dopo la grande - e drammatica - domanda sul “perché”: il desiderio di ricominciare. Di ripartire. Desiderio che, a sua volta, è carico di altre domande, altrettanto drammatiche. Da dove? Come? Su cosa si può ricostruire, se tutto quello che avevamo è andato perso in un attimo?

La grande sorpresa inizia qui. Nell’esperienza imprevedibile che stanno facendo molti di quegli amici abruzzesi che hanno perso tutto. Nel loro guardarsi intorno e scoprire in se stessi - o nei volti di qualcuno, accanto a sé - qualcosa che non è crollato. Un terreno più solido delle rocce dell’Aquila su cui poggiare i piedi. Su cui molti già poggiano i piedi. La fede. Il riconoscimento della presenza di Cristo, del suo abbraccio misterioso e imponente.
Lo si vede in modo limpido in mille testimonianze che arrivano da quella terra ferita. E lo si è visto con una chiarezza estrema nel giorno della visita di Benedetto XVI. Nei volti giovani e sereni, quasi lieti, che circondavano il Papa davanti alla Casa dello studente. Nella gratitudine della gente per l’abbraccio di un Santo Padre più padre che mai. Non c’era niente di sentimentale in quell’abbraccio. C’era la certezza della Risurrezione. Di una Presenza più forte dei crolli e della morte. Un amico presente a quegli incontri li ha raccontati così: «È stato come vedere dei bambini spaventati da un animale sconosciuto e un papà che gli veniva incontro dicendo: be’? Di che avete paura? Io so cosa avete visto, ma è già stato sconfitto...».

È su quel terreno che si gioca una partita decisiva: la verifica della fede. E, quindi, il fiorire della speranza, di ciò che permette di guardare il futuro senza paura perché certi ora di quella Presenza. È una partita che riguarda tutti, non solo il popolo ferito dell’Abruzzo. Riguarda noi davanti alla sfida di ciò che accade, alla provocazione dei piccoli o grandi terremoti che scuotono la nostra vita di ogni giorno: la fatica, la crisi, il dolore. O, all’opposto, la bellezza, l’irrompere di un gusto imprevedibile. Che senso hanno? Che cosa indicano? Chi ci sta chiamando attraverso queste circostanze?

«Per noi le circostanze non sono neutre, non sono cose che capitano senza alcun senso; cioè non sono cose soltanto da sopportare, da subire stoicamente. Sono parte della nostra vocazione, della modalità con cui Dio, il Mistero buono, ci chiama, ci sfida, ci educa. Per noi queste circostanze hanno tutto lo spessore di una chiamata, perciò sono parte del dialogo di ciascuno di noi con il Mistero presente». Lo ha detto Julián Carrón in un passaggio dell’Introduzione degli Esercizi spirituali predicati alla Fraternità di Cl a Rimini, fine aprile. È il libretto che trovate allegato a questo Tracce. Il percorso parte da lì, dalla sfida delle circostanze. E si snoda proprio sulla verifica della fede. Vale la pena di imboccarlo e percorrerlo tutto, scavando fino in fondo. Perché solo lì si trova il fondamento su cui si può costruire. O ricostruire. Sempre.