Tracce N.5, Maggio 2011

Fede e libertà
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Tre giorni. Proprio come quelli che nel week end precedente avevano segnato il culmine della Settimana Santa. Arrivo a Rimini il venerdì, ritorno da Roma la domenica. In mezzo, gli Esercizi spirituali della Fraternità di Cl e la Beatificazione di Giovanni Paolo II. Giorni intensi, si prevedeva. Lo sono stati. Ma molto più di quanto si potesse immaginare. Chi c’era, lo ha visto. Ha visto che quei due gesti legati da una nottata in bianco erano un fatto solo. E grande. Qualcosa destinato a restare nella memoria. Ma di che natura è questa unità? Con che parole potremmo esprimerla?
Nel libretto allegato a Tracce c’è il testo di quegli Esercizi. Verso la fine, ci si imbatte in un’espressione antica, usata da sant’Ambrogio: «Ubi fides, ibi libertas». Dove c’è la fede, c’è libertà. È l’ultimo tratto, quasi il punto di arrivo del percorso svolto a Rimini. Ma è anche «la formula sintetica di quello che stiamo perseguendo in questo periodo», ha detto di recente Julián Carrón parlando a un gruppo di responsabili del movimento. E il motivo è semplice: «Il risveglio dell’io si mette in evidenza nella libertas; la libertà è la verifica della fede». La capacità di stare nel reale, nella vita quotidiana, tra le condizioni e i limiti imposti dalla realtà ma essendo libero, non determinato da tutto il resto, «è frutto solo della fede». Avete presente il disegno tracciato da don Giussani nel Senso religioso? Il cerchio del mondo, il puntino che sei tu. Se non sei rapporto con quella “X” fuori dal cerchio, che non gli appartiene, sei in balìa delle circostanze. Il cerchio balla, e tu gli vai dietro. Ma il rapporto con quella “X” no, ti dà una stabilità, una consistenza che nessuna oscillazione può mettere in crisi.

Logica di ferro. Difficile opporre obiezioni. Eppure il bello non è nello schema, così semplice ed efficace. E neanche nella spiegazione altrettanto lineare di quelle pagine. Il bello è che la libertà, così come è descritta lì, può solo accadere. Proprio perché quella dinamica è vera, può solo accadere. Non basta la formula a liberarci. «Occorre una fede nel senso che dice don Giussani, che la fede sia un’esperienza presente confermata nell’esperienza stessa», aggiungeva ancora Carrón in quel dialogo: «Altrimenti la libertà noi ce la sogniamo, e perciò non è possibile la generazione di un soggetto come Giovanni Paolo II: il santo che realizza l’umano».
Occorre che quella “X” sia qui, ora. Quell’ubi, quel “dove” - un luogo, un punto nel tempo e nello spazio -, è fondamentale. È l’unica possibilità di sconfiggere l’ideologia che, altrimenti, seguiamo inevitabilmente. Non per cattiveria, ma perché è proprio inevitabile. «In questo senso è la cosa meno moralistica che ci sia», osservava ancora Carrón: «Ubi fides, ibi libertas. Il problema non è il moralismo, è la fede; il problema non è l’accanimento morale, è la fede. Se noi siamo disponibili a fare quel percorso della fede che consente questa sorpresa che si chiama libertà. Che è il fiore meno scontato, tanto è impossibile all’uomo».

«Ubi fides, ibi libertas». Nei giorni in cui è affiorata in tutta la sua evidenza la sintonia totale, quasi l’affinità di percorso tra l’esperienza del movimento, il magistero di Benedetto XVI e la testimonianza maestosa di Giovanni Paolo II, fa un certo effetto ricordare che sei anni fa, poco prima di succedere a papa Wojtyla, l’allora cardinale Joseph Ratzinger citò in un’omelia proprio questa espressione di sant’Ambrogio, spiegandola così: «La libertà per essere vera, e quindi per essere anche efficiente, ha bisogno della comunione. E non di qualunque comunione, ma ultimamente della comunione con la verità stessa, con l’amore stesso: con Cristo». Era l’omelia del funerale di don Giussani. Ma è ora.