Tracce N.6, Giugno 2002

Il filosofo, il riso e i fagioli
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Un noto filosofo italiano, Umberto Galimberti, dalle colonne di un noto quotidiano esortava gli insegnanti a prendersi cura dell’anima dei ragazzi. Troppi episodi di violenza in giro mostrano che c’è una diseducazione della psiche o dell’emotività. Vale la pena leggere un passaggio del suo ragionamento: «… dobbiamo convincerci della necessità e dell’urgenza di un’educazione emotiva preventiva… E questo soprattutto nella nostra società che ha sviluppato un individualismo esasperato e una possibilità di scelta e di libertà che le società che ci hanno preceduto non hanno mai conosciuto, arginate com’erano dalle ristrettezze della povertà e dall’inquadramento offerto dalla tradizione religiosa. Oggi questi argini, grazie a Dio, sono saltati… Per questo c’è un gran lavoro da fare nell’educazione preventiva dell’anima». Ma l’anima (la psiche) per quel filosofo è solo il luogo di conflitti psicologici, di tensioni che, appunto, se non governate, possono dare adito a episodi spiacevoli.

Del fatto che l’anima è da sempre intesa come quella realtà presente nell’uomo che lo lega all’Infinito di cui e per cui è creato, Galimberti tace. Così, negati Dio e l’esistenza della verità, si invoca (sinistramente) lo Stato che, attraverso la scuola, educhi le masse a gestire le proprie “emozioni” e i propri conflitti interiori. In nome di che cosa?

Abyssus abyssum invocat, dicono le Scritture. L’abisso dell’anima umana chiama l’abisso che l’ha creata per potere essere soddisfatto. Ogni risposta parziale non basta ed è sentita come menzogna e inganno.

Sullo scorso numero di Tracce avete trovato una lettera di due ragazze scritta dal Brasile. Daiene e Tatiana non hanno studiato da filosofe. E ci hanno messo tre ore per andare a vedere un lago che si trova nella stessa città dove vivono, ma che non avevano mai visto, poiché non avevano i soldi per il bus. Di fronte a quella bellezza, Tatiana ha esclamato: «Il lago non è come riso e fagioli!».

Ciò che pure dà sollievo alla pancia e ai conflitti psicologici è un bene prezioso, ma è limitato, finisce come finiscono riso e fagioli. Il cuore ha bisogno, invece, di qualcosa che non finisce, anzi che inizia sempre col suo carico di bellezza e di verità. Ha bisogno di qualcosa che sia all’altezza del suo desiderio e che lo tratti secondo la sua natura, che è libera, cioè è fatta di decisione responsabile nell’aderire a quel che riconosce come vero e buono.

La fede, infatti, non è un freddo assenso a una verità simile a un teorema matematico che si può instillare nell’animo umano con una qualche tecnica psicologica. Come se Dio fosse una “soluzione” che mette a posto i propri turbamenti. La certezza della fede cristiana è piuttosto l’esperienza di un rapporto drammatico con una Presenza, dal cui amore e dal cui fascino ci si può allontanare (e si chiama peccato) anche dopo esserne stati inequivocabilmente colpiti e inizialmente legati, in un riconoscimento dell’affetto e della ragione.