Tracce N.6, Giugno 2003
Educare per vincere la pauraLeggiLa serie micidiale e dolorosa di attentati terroristici che sta
toccando diversi
Paesi del mondo è un fenomeno che riempie di sgomento. L’uso della
violenza in modo cieco e al tempo stesso ben studiato è una deriva estrema
dell’odio, che vede nell’altro sempre e solo un nemico. Nessuna causa,
né politica né tanto meno religiosa, può giustificare questa
freddezza assassina. Viviamo tutti nella paura, al punto che ogni aereo che passa
sulla nostra testa evoca lugubri presagi.
Chi coltiva e arma i kamikaze desidera ingenerare tale senso di insicurezza. È una
folle e lucida strategia. Nella paura e nello sgomento la vita si paralizza,
i rapporti si incrinano. E le difficoltà, invece di tendere a composizione,
si esasperano.
Interi popoli sono gettati nel terrore, lo dimostra l’impressionante bollettino
degli ultimi mesi. È una guerra complessa, che non fa sperare niente di
buono.
In questa situazione la cosa peggiore è l’irresponsabilità.
Di tutti, noi compresi: dai capi di Stato e degli organismi internazionali fino
ai responsabili delle diverse parti politiche. Cedere alla logica della divisione
e degli schieramenti, della schematizzazione manichea tra buoni e cattivi, è il
frutto amaro di un’irresponsabilità generale. La politica come arte
del compromesso - di andreottiana memoria - potrebbe in questo frangente offrire
la strada realistica per la ricerca di strumenti efficaci per una soluzione pacifica
dei problemi.
Ma neppure noi, che capi non siamo, possiamo essere irresponsabili. A ciascuno,
come ha ricordato il Papa - vero faro di speranza nel mondo -, spetta un compito
importante, nella domanda a Dio e nella conversione del cuore. Perché la
politica può arginare, può organizzare e coordinare. Ma la vera
battaglia per togliere spazio alla logica dell’odio e della paura si chiama “educazione”.
La paura, infatti, nasce sotto diverse forme e per diversi motivi. Ma sempre
in quello che T.S. Eliot chiamava «deserto e vuoto», quel deserto
che è anche «pressato nel treno della metropolitana».
L’educazione è l’energia di costruzione e di ripresa, da opporre
al deserto in cui la vita si perde quando viene ridotta a insignificante giocattolo,
e dunque a possibile preda di ogni disegno di possesso. Nel 1987 don Giussani
parlò di un “effetto Chernobyl” che ci raggiunge tutti come
esito di una riduzione dei desideri dell’io operata dal potere. Per questo
l’educazione inizia la riscossa dell’umano come consapevolezza che
la vita di ciascuno è costituita come rapporto con l’Infinito e
che in ciò sta il motivo del suo valore e l’indicazione del suo
destino. La positività come legge dell’azione personale e sociale
si esprime in persone e popoli in cui è vive una tradizione, una trasmissione
critica di una esperienza umana e del suo scopo, nel quale il desiderio trova
la sua sorgente e la sua risposta positiva.
Perciò ci sentiamo responsabili, nella lotta al deserto.