Tracce N.6, Giugno 2008

Chi fa il cristianesimo
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«Ma che cosa è successo a Rimini?». È una domanda che abbiamo sentito fare a molti, dopo la doppia tornata degli Esercizi spirituali di Cl. Prima quelli della Fraternità, poi, quindici giorni più tardi, i Lavoratori. E intorno, appunto, quella domanda a circolare insistente tra amici e colleghi, mogli e mariti. Posta non solo da chi non c’era, per farsi raccontare, ma anche - e questo è il bello - da chi a Rimini c’era, ed era talmente colpito dall’imponenza di ciò che aveva visto e sentito da continuare a chiedersi: ma che cosa è successo? Che cosa sta succedendo ora nelle nostre vite?

Non è una domanda da poco. È il primo passo di chi vuole fare davvero i conti con quello che ha davanti. Senza archiviarlo in fretta nell’album dei «che bello!» rimasti lì, sterili e impotenti, perché incapaci di diventare un giudizio e di avviare un percorso di conoscenza.
Per molti, invece, sta succedendo proprio questo: la scoperta di un modo più umano di entrare nella realtà. Dell’unico modo umano di entrare nel reale, fino in fondo. E il punto di avvio è quello richiamato con forza e dovunque, a Rimini come a Milano, dove cinquemila insegnanti radunati in assemblea con don Carrón si sono visti indicare come esempio una loro alunna: Elisa, compagna di classe di uno degli arrestati per il pestaggio di Verona e autrice di un volantino di giudizio lucidissimo. «Da dove è partita questa ragazza? Noi dobbiamo guardare quello che accade davanti a noi. E che cosa accade? Cerchiamo di immedesimarci con lei: che cosa l’ha fatta partire? Qual è stata l’origine che le ha fatto sfidare tutto per mettersi davanti a tutti con questo giudizio? Non è un’intelligenza particolare, non sono delle conoscenze che hanno gli adulti, non è una capacità di energia particolare: è semplicemente la capacità di aderire a Qualcosa che viene prima».

«Guardare a quello che accade» e «aderire a Qualcosa che viene prima». Perché «noi non desideriamo altro che seguire quello che Lui fa in mezzo a noi». Eccolo, il metodo. Semplice, e quindi a portata dei più semplici. E potentissimo, capace di capovolgere in un attimo l’idea che tante volte abbiamo in mente: che il cristianesimo sia sì un avvenimento, ma fatto da noi. Affidato alle nostre capacità di replicarlo, di creare le condizioni giuste perché possa accadere. In una parola, di organizzarlo. «Come se fossimo creatori di ciò che affermiamo di credere», si diceva ancora agli Esercizi.
Chi fa il cristianesimo, invece, è Cristo. Senza di Lui, non possiamo fare nulla. A noi tocca il compito più bello: seguire. Fare spazio alla Sua opera. E godere di quella corrispondenza impensabile che vediamo sbocciare nella nostra vita e che un po’ alla volta impariamo a chiamare con il suo vero nome: libertà.