Tracce N.6, Giugno 2010
La potenza di un «sì»LeggiÈ vero, a volte i numeri parlano. Duecentomila persone in San Pietro, ad accogliere ed essere accolte dal Papa. Uno spettacolo raro. Arrivato appena tre giorni dopo i quattrocentomila della spianata di Fatima. E più o meno nello stesso periodo in cui a Torino si sono fatti i conti dei pellegrini arrivati per l’ostensione della Sindone, appena chiusa: oltre due milioni. Leggi, sommi e ti viene spontaneo accodarti alla conclusione tirata da molti dopo il Regina Coeli del 16 maggio: esiste ancora un popolo cristiano. Non te lo aspetti, ma c’è. Si vede. Sbuca a sorpresa persino da quei quotidiani che, sulla stessa pagina, sopra un commento sulla Chiesa che «ormai perde fiducia», mettono la foto della piazza stracolma.
Poi, però, la piazza si svuota. Si torna a casa. Ognuno alla sua casa. Stampa e tv parlano d’altro. I commenti sui “Papa-boys” e la “manifestazione di sostegno al Pontefice” si diradano. L’imponenza dei numeri evapora. Ed è lì, nella vita di ognuno, che affiora - o svanisce - la vera domanda: che cosa è successo davvero in San Pietro? Cosa è successo a me che ero lì, cosa ho imparato io? A che è valso il sacrificio del viaggio, la sproporzione (venti ore di treno e venti minuti di piazza), la fatica? E soprattutto, perché mi sono scoperto contento di esserci?
È di questa sfida che si racconta nelle prossime pagine. Perché gran parte di quei duecentomila erano lì per sé. Per affetto al Papa, certo. Ma attraverso il Papa, a sé. All’esperienza che si vive. E che in quella presenza concreta, storica, trova una roccia sicura su cui poggiare. Senza, prima o poi, verrebbe giù tutto. Svanirebbero la fede e l’umano. Figuratevi i numeri.
Chi c’è stato, può raccontarlo. Può raccontare del cambiamento vissuto prendendo sul serio quella ragione intuita per sé ed offerta a tutti da don Julián Carrón, e che all’inizio sembrava quasi strana: «Non andiamo a Roma per sostenere il Papa, ma per essere sostenuti da lui». Chi c’era, può raccontare - racconta - di una verifica della fede, di una certezza che si scopre più forte perché è passata attraverso un metodo che solo il cristianesimo sa offrire al mondo: un fatto. Qualcosa che non ti dai tu, accade e ti provoca. E quindi educa, perché fa venire fuori quello che sei. «Tutti hanno fatto un passo di consapevolezza, di fronte al 16 maggio», ha detto poi lo stesso Carrón: «Chi è andato, e chi no. Perché hanno dovuto fare i conti con un fatto e con delle ragioni chiare». E hanno potuto dire sì. O no.
È lì che si annida l’imponenza di un avvenimento come il 16 maggio. Non nei numeri, negli slogan o nelle cause buone e giuste da sostenere: nel cuore di ognuno. Nella potenza di un «sì» personale, perché pieno di ragioni vere diventate proprie. È quello che genera una presenza - anche pubblica. È quello che fa nascere un popolo. «Le forze che muovono la storia sono le stesse che muovono il cuore dell’uomo», disse una volta don Giussani. E quando il cuore si muove, inizia lo spettacolo.