Tracce n.6, Giugno 2018

Germogli
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Che novità porta la fede nel mondo, in questo mondo? Per noi può essere una domanda scontata, già pronta per essere accomodata in risposte a cui rischiamo di assuefarci: altri valori, scelte di vita diverse, una concezione dell’uomo radicalmente differente – addirittura alternativa – rispetto a tante idee che vediamo diffondersi. Tutte cose vere, intendiamoci. Ma che hanno bisogno di prendere carne, per non restare formule.

Poi succedono fatti che scontati non sono per niente, anzi. Per esempio, che il leader di una nazione dove impera la laicità assoluta, come il presidente francese Emmanuel Macron, riconosca in un discorso che la società ha bisogno dei cristiani perché portano «un contributo di un altro livello alla comprensione del nostro tempo», e chieda loro di continuare a portare in dote al Paese «tre doni: la vostra saggezza, il vostro impegno, la vostra libertà». Oppure, che si possa leggere sul New York Times un articolo in cui una firma altrettanto laica e liberal racconti tutto il suo stupore davanti a una casa di accoglienza per minori nata dal carisma di don Giussani, e vi individui «una filosofia incarnata, una fede nella bellezza espressa in modo concreto». O, ancora, tanti altri casi, grandi e piccoli (li trovate pure nel libretto allegato a questo Tracce, con il racconto degli Esercizi della Fraternità di CL), di “non cristiani” che restano colpiti da qualcosa che incontrano. Fino a riconoscerne l'utilità per sé e per tutti. E a domandare ai cristiani proprio l’ultima cosa che, tante volte, loro stessi si aspettano di sentirsi chiedere: di essere se stessi, fino in fondo. Perché il mondo ne ha bisogno.
 
Occorre esserne consapevoli, per poter dare un contributo reale.
Al cristianesimo non è chiesto un “supplemento d’anima”, dei valori, di ristabilire un assetto etico dove tutto crolla. Ma fatti che indichino che un altro mondo è possibile. Luoghi dove già accade, dove spunta un germoglio di novità. Testimoni che con la loro vita aprano una prospettiva diversa, permettano di spalancare la ragione e allargare il respiro. Per questo l’aiuto più grande che possiamo dare è anzitutto la nostra conversione, vivere noi la fede. «Se non facciamo in prima persona esperienza di Cristo come risposta all’attesa infinita del nostro cuore, non potremo comunicarlo agli altri come un bene per loro», osserva don Julián Carrón in quegli Esercizi (dal titolo sintomatico: “Ecco, faccio una cosa nuova: non ve ne accorgete?”).
 
Il “Primo Piano” è dedicato a questo. Ma anche nel resto del giornale se ne trova traccia. Dalle Lettere, ai “Percorsi”, dove trovate lo storico intervento del cardinale Jean-Louis Tauran a Riad, Arabia Saudita: esempio perfetto di un dialogo che sembra impossibile se lo si riduce a schemi, ma diventa reale quando accade tra persone. O nella testimonianza di don Michiel Peeters, in missione nella “sua” Olanda ormai post-cristiana: era la terra che dava più sacerdoti pronti a partire per il mondo, è diventata arida di fede. Eppure qualcosa rinasce, anche lì...