Tracce n.6, Giugno 2021

Un fatto personale
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La parola perdono è talmente grande che vorremmo rimpicciolirla, sviarne la totalità, se non rifiutarla. Mentre il bisogno di perdono è irriducibile. Riguarda l’essenza della nostra persona. Dopo il male, compiuto o subìto, diventa solo più cocente quello che in realtà è il desiderio di ogni istante: che tutto sia nuovo, un’altra volta ancora, e sempre.

Guardiamo a un uomo e a un momento: dal «sì» che Pietro dice a Gesù quando gli chiede «mi ami tu?» nasce una «realtà nuova attraverso il perdono», scrive don Giussani in Generare tracce nella storia del mondo, perché «distrugge ogni risentimento, ogni ricordo di tutti i tradimenti di quel povero uomo che aveva davanti». In questo numero, il teologo don Franco Manzi approfondisce come quel perdono, accettato, generi una concezione di sé stessi e un popolo che sono nuovi in quanto fondati «sulla grazia di Cristo, e non più sul fare». È un «sì», quello di Pietro, che viene pronunciato perché il volto che gli chiede «mi ami?» è un volto «pieno di perdono».

Non è diverso dalla novità che germoglia nel cuore di Margaret Karram, palestinese nata in Israele, quando ancora è piccola e si chiude per la ferita provocata da altri bambini: poi guarda sua mamma, che le chiede di invitarli a casa. «Non sapevo come poterli perdonare, ma per amore di mia madre ho detto sì». Nel dialogo con lei, neo presidente del movimento dei Focolari, come in quello con Gemma Capra, vedova del commissario Calabresi, o nella storia di Marcel Uwineza, sopravvissuto al genocidio in Ruanda, troviamo la potenza di un cammino di libertà, umanissimo, ma che si nutre di un amore senza condizioni di cui l’uomo non è capace, lo riceve. Per questo può non dimenticare e guardare in faccia la realtà. Anche laddove il perdono sembra impensabile, come nella “guerra di sempre” scoppiata di nuovo, tra Israele e Palestina (a cui dedichiamo la copertina). Mentre scriviamo, è stato dichiarato il cessate il fuoco, la tregua pare reggere e il Papa ha chiesto a tutta la Chiesa di «implorare il dono della pace». Il dono dei doni, che suona come un’utopia, in certe vite inizia la sua fecondità: il fatto che una persona si lasci investire dalla presenza di Cristo, come è stato per Pietro, sembra secondario rispetto ai grandi eventi, ai grandi scenari, eppure è l’unica cosa che cambia ciò che è distrutto.
«La riconciliazione è un fatto personale», si legge nella Fratelli tutti: «Nessuno può imporla all’insieme di una società. Non è possibile decretare una “riconciliazione generale”, pretendendo di chiudere le ferite per decreto».
È un fatto personale, il «sì» di un uomo, ma che si lega al destino di tutti. Come sottolinea Julián Carrón nel libro C’è speranza?, appena uscito: «Il rapporto che il Mistero fatto carne, Cristo presente qui e ora, ha stabilito con noi è dominato dal perdono, è perdono. Appoggiati a questo perdono, riprendiamo da capo mille volte al giorno. Solo nel perdono la nostra vita rinasce, solo nel perdono c’è costruzione».