Tracce N.7, Luglio/Agosto 2001

Preconcetto e realtà
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Al prossimo Meeting di Rimini una grande mostra farà luce su uno dei periodi più recenti in cui la cultura italiana ha discusso intorno ai “realismi”. Argomento quanto mai attuale. Nell’epoca moderna, infatti, una delle parole che ha subito maggiori modifiche nel senso comune ed è stata al centro di molte discussioni è “realismo”.
Nella maggior parte dei casi essa viene impiegata ormai per indicare un modo di giudicare la realtà e le circostanze della vita nutrito da una specie di disincanto misto a scetticismo. “Realista” sembra essere chi ha una giusta dose di distacco o di cinismo per poter trattare le cose, le situazioni e anche le persone senza, in fondo, aspettarsi molto.
“Realista” sembra essere colui che
ha definitivamente preso atto che nella vita c’è sempre in agguato una possibile fregatura e perciò va coi piedi di piombo, esprime un atteggiamento scettico, sottolineando gli elementi di contrarietà, negativi, di una situazione o di una persona. Il realista di oggi muove da una sorta di pregiudizio, secondo il quale ogni autentica valutazione deve partire fissando i limiti, esaltando i fattori negativi e contestativi.
Stiamo indicando una specie di consuetudine, una esperienza che spesso non è, nei più, esito di una riflessione consapevole, bensì una attitudine assunta quasi senza accorgersene. Un’abitudine che è mentalità comune.
La riflessione di filosofi, artisti e scienziati
intorno a questa parola si è particolarmente accesa da quando ha prevalso una concezione dell’uomo secondo cui il rapporto con la realtà sembra essere impossibile. La realtà, secondo tale concezione che si fonda sulla negazione del legame tra l’uomo e il Mistero che lo ha creato - rifiuto di ogni appartenenza -, sfugge alla presa del pensiero e dell’esperienza. Da allora, dunque, la tensione a essere “realisti” si è accanita in molti modi, ma senza mai trovare soddisfazione. Oggi, addirittura, chi pretenda di affermare di essere in rapporto con la realtà, di conoscere il vero, e non una immagine parziale o illusoria, passa per pazzo.
Ma non è terribile il destino di una civiltà che nega la possibilità di rapporto con il reale, riducendolo a labirinto di illusioni o, al massimo, a cinismo? È una situazione profeticamente descritta dal Salmo 14: «Lo stolto pensa: “Non c’è Dio”./ Sono corrotti, fanno cose abominevoli:/ nessuno più agisce bene./ Il Signore dal cielo si china sugli uomini/ per vedere se esista un saggio:/ se c’è uno che cerchi Dio./ Tutti hanno traviato, sono tutti corrotti;/ più nessuno fa il bene, neppure uno».
Al termine della sua grande notte,
l’Innominato de I promessi sposi, alla disperata ricerca di una nuova positività su cui rifondare la propria vita e un nuovo rapporto con se stesso e il reale, apre le finestre. Sarebbe restato un uomo solo, alle prese con grandi e terribili pensieri. Ma il genio cattolico di Manzoni propone a quel punto la scena che rifonda un’ipotesi di bene, di positiva ripresa per quella vita che si era oscurata fino al pensiero del suicidio: la finestra si apre su un popolo che si reca a un appuntamento con il cardinale Borromeo, pieno di memoria del fatto cristiano che ha reso vivibile e positiva la loro pur difficile esistenza.
Nel corso della sua storia,
la Chiesa ha insegnato che il più grande realismo è la fede. In tutto il reale l’uomo, se non si para gli occhi col preconcetto della propria pretesa di misura e di possesso, e se non si chiude nel ristretto ambito delle proprie delusioni e fatiche, può leggere, infatti, la potenza positiva del gesto del Creatore e il richiamo a concepire il valore dell’esistenza in rapporto alla mistero della Sua paternità.
Quel gesto che fonda la positività di ogni dettaglio - «il Dio dei dettagli», esclamava Pasternak - è per così dire ricostituito, ripreso e rilanciato dall’avvenimento di Cristo, il Dio che ha vissuto ed è morto e risorto per amore degli uomini.
Gli uomini che vivono la memoria di quell’avvenimento, come fatto che accade ora, percepiscono e costruiscono l’esistenza come fondata su una positività che non si oscura. E sono perciò uomini che nei drammi della storia personale e civile sostengono la speranza.

(Il titolo ci è venuto in mente quando abbiamo visto il libro di J. H. Newman, Discorsi sul pregiudizio, pubblicato da Jaca Book.)