Tracce N.7, Luglio/Agosto 2003
Tutti al Meeting. Il Meeting per tuttiLeggi
Il Meeting di Rimini,
a cui questo numero di Tracce dedica ampio spazio, è una
manifestazione che negli anni ha accresciuto il suo peso nella vita privata di
tanta gente e anche nella cosiddetta vita pubblica dell’Italia, e non solo.
I suoi incontri di spessore internazionale, gli eventi artistici, le presenze
di autorità religiose, civili e politiche, il concorso di pubblico specie
giovane e di persone di ogni provenienza culturale, lo hanno imposto come un
fatto straordinario e unico. Ormai è quasi scontato che a Rimini, alla
fine di agosto, un popolo si ritrovi costruendo e proponendo un evento che è serissimo
e gioioso al tempo stesso. Per molti è un appuntamento fisso, i media
ce l’hanno in agenda, buona parte del mondo culturale, politico ed ecclesiale
lo attende per diversi motivi. È quasi scontato. Però, ogni anno,
specie chi vi partecipa direttamente incontra una realtà che lo sorprende.
L’aria che si respira nella vita sociale e politica non sembra la più adatta
a favorire eventi di questo genere. Le dure contrapposizioni tra blocchi, la
chiusura livida sui propri interessi, la mancanza di gratuità nei rapporti
e infine una corrosiva superficialità sembrano i segni distintivi dell’epoca.
L’Italia, l’Europa e il mondo intero stanno vivendo fasi di passaggio
difficili, per diversi motivi. Il Meeting non è figlio di questa situazione
confusa, ma non ne è fuori. Nasce da un avvenimento di popolo che in questi
cinquant’anni ha attraversato tante situazioni, per costruire e non per
condannare, per condividere e non per appartarsi in un recinto protetto al riparo
dai problemi e dalle tentazioni di tutti.
Anche il tema scelto quest’anno - “C’è un uomo che vuole
la vita e desidera giorni felici?” -, così semplice e bello, potrebbe
sembrare scontato. Della felicità hanno parlato tutti i filosofi e tutti
i poeti, e persino sociologi e psichiatri, ne abbiamo discusso già tutti,
almeno fin dai tempi delle scuole superiori. Ma il tema del Meeting, a ben guardare,
non pone la felicità come argomento da salotto. La felicità come
discorso è noiosa. Ce lo insegna l’esperienza del vivere: la felicità resta
un argomento, bello ma paradossalmente inutile, finché non ci si imbatte
in qualcuno che ce ne propone l’esperienza.
Così avviene - se pur confusamente, come ricorda Dante - per il ragazzino
che intravede un segno di felicità nell’innamorarsi, o per la madre
che risponda al figlio, o per chiunque incontri qualcuno o qualcosa che sembra
promettere il compimento del suo desiderio. Il problema della felicità nella
vita inizia a essere concreto quando qualcosa o qualcuno ti chiama a essa. Quando
il problema della felicità si incontra con quello della libertà,
cioè del rispondere. È ciò che agitava il cuore del giovane
Rimbaud quando gridava: «Voglio la libertà nella salvezza!».
Ed è quello che capitò ad Abramo, nel momento in cui Dio lo chiamò,
principio di una storia che dura tuttora. Ne ha appena scritto don Giussani nella
lettera che apre questo numero di Tracce: «È il dramma supremo che
l’Essere domandi di essere riconosciuto dall’uomo. Questo è il
dramma della libertà che deve vivere l’io».
La frase che dà titolo al Meeting non è l’inizio di un discorso
(noioso) sulla felicità. È una proposta a uomini liberi, che possono
rispondere di sì al Mistero che chiama. Venite a vedere.