Tracce n.7, Luglio-Agosto 2021

Che cosa resta?
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Il presente è l’unica cosa che abbiamo. Ed è paradossale, proprio perché lo abbiamo, sentirci addosso questa inesauribile tensione a viverlo, a essere presenti al presente. Perché non riesce a essere pieno. Assolutizzato, perde respiro; per riprendere fiato, diventa una continua fuga in avanti.
Impareremo qualcosa? È stata la domanda di sottofondo nella pandemia. Abbiamo attraversato mesi in cui un virus ci ha rimessi davanti a ciò che è essenziale nella vita, ma cosa ci abbiamo guadagnato come aiuto per viverla? Il virus si comporta come tante altre cose: accade, ci impatta, quasi ci costringe ad aprire gli occhi sul fatto che l’esistenza non ci appartiene e ce ne fa scoprire la grandezza di puro dono. Poi passa. E spesso passa anche la novità di sguardo sulla realtà che ci ha pervasi. Lo stesso avviene per i momenti di gioia o per lo shock di una tragedia che squarcia il velo dell’apparenza nel ritorno alla normalità.
Che cosa resta di quello che abbiamo vissuto? Il presente è dove si svela la risposta. In questo numero abbiamo seguito la provocazione di Rosa Montero, nota scrittrice e giornalista spagnola, che dalle colonne di El País, davanti ai festeggiamenti per la fine della emergenza sanitaria, dice che è inevitabile tornare eternamente da capo, ricadere nella scontatezza. «La pandemia», scrive, «avrebbe dovuto insegnarci qualcosa sulla verità vibrante e unica del presente, di questo preciso istante in cui viviamo». Ma, a suo avviso, noi non impariamo nulla, rimandiamo sempre la piena coscienza di vivere a un altro momento. «Come se il presente fosse solo una stazione di passaggio» e noi viaggiatori verso una meta, la felicità, che non arriva mai: c’è solo l’oggi, il qui e l’ora.

Ma cosa ci dice l’oggi, qui e ora sulla nostra vita? Perché è ragionevole affermare che questo preciso istante in cui viviamo ha consistenza, che è l’inizio e non la fine? Il dialogo è aperto e per questo proponiamo quello che è accaduto in un’assemblea con Julián Carrón e le comunità del movimento dell’Eurasia. L’incontro con Cristo spalanca la ragione a vedere la profondità ultima della realtà e del nostro esistere. Sappiamo di crescere come uomini quando ci sorprendiamo di esserci; comincia un altro modo di vivere il presente, senza scappare, senza rinunciare alla promessa di compimento.
È possibile non rimandare la felicità? La necessità di «imparare ad imparare», il bisogno di domande vitali e non di ricette, la ricerca di risposte degne della propria umanità: è la scia che attraversa le interviste e le esperienze del Primo Piano, che sono il nostro contributo al tema del prossimo Meeting di Rimini (dal 20 al 25 agosto): “Il coraggio di dire io”. Che cosa è questo coraggio, cosa significa dire io ? Nell’affrontare le domande che tornano implacabili si apre lo spazio per rispondere.