Tracce N.8, Settembre 2011

Da che parte stiamo
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Quest’anno, è stato imponente. Per la visita di Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica, e per il suo intervento così diretto e incisivo. Per il fatto di avere in contemporanea sul palco John Elkann, giovane presidente di Fiat, a parlare di sé a cuore aperto e in platea Sergio Marchionne, suo amministratore delegato, a dire ai giornalisti «in Italia molti parlano: questi fanno». Per quei dialoghi reali sulla primavera araba in cui cristiani e musulmani, a riflettori spenti e sincerità accesa, hanno detto «qui riusciamo a parlarci come neanche a casa nostra». E per tanti altri fatti, piccoli e grandi, che hanno mostrato come il Meeting di Rimini e l’esperienza da cui nasce siano un fenomeno che pesa nella società, non solo italiana. Incide nella storia. Al punto da spingere anche certi osservatori a fare i conti con la propria lealtà, e a cambiare registro. Così, per esempio, si è visto un giornale come Repubblica, spesso incline a dare letture solo politiche del Meeting (e di Comunione e Liberazione), scrivere che «chi passi qualche giorno qui non può non ammettere che nulla di tutto questo esisterebbe se non poggiasse su una sorprendente capacità di mobilitazione delle coscienze, di sincero coinvolgimento intimo» e che forse bisogna smettere di chiedersi «da che parte sta Cl?» per concludere che «Cl, da sempre, sta solo con Cl».
È più di una revisione di giudizio. Perché a leggerle bene, in quelle righe c’è una domanda che sta a cuore anche a noi, se non vogliamo cambiare metodo e imboccare una strada sbagliata. Questi avvenimenti, appunto, sono imponenti. Ma che cosa li ha resi possibili? Che cosa permette che un fenomeno come il Meeting - nato oltre trent’anni fa da una serata in pizzeria tra amici che volevano solo «fare qualcosa di bello per dire a tutti quello che viviamo» - diventi così? Le sponde dei partiti? L’appoggio dei salotti buoni? La strategie, il lobbysmo, i giochi di potere? Da dove nasce questa incidenza storica?

Ci siamo lasciati prima delle vacanze con una sollecitazione: usare l’estate, il tempo libero, come occasione per scoprire tutta l’urgenza di una verifica personale della fede. Perché, dicevamo, davanti alle esigenze del vivere ci sono io, non un gruppo. E solo se la presenza di Cristo attira me, rende certo me, mi cambia. Fa emergere tutta la mia umanità. E cambiando me, incide nel mondo. Ora possiamo rileggere anche la grandezza del Meeting (o di altri fatti di cui si parla in questo Tracce: pensate ai resoconti di chi è stato alla Gmg di Madrid) alla luce della stessa sfida. Possiamo vedere se è vero o no che persino eventi così importanti sgorgano tutti, semplicemente, da qui: da persone cambiate. Da cuori ridestati dall’incontro con la presenza di Cristo nel mondo. E così attratti - «intimamente coinvolti», per usare l’espressione di Repubblica - da lasciarsi prendere, e da seguire. In una parola, dalla fede. Noi siamo questo, non altro. Stiamo lì, non altrove.

Chi era a Rimini (e dopo, all’Assemblea Responsabili di Cl a La Thuile) lo ha visto e sentito: accanto al titolo, a quella scoperta che la presenza di Cristo rende l’esistenza «un’immensa certezza» e ci permette di vivere, la frase che si è sentita ripetere più spesso, anche da ospiti musulmani o da manager in grisaglia, è stata un’altra, che i nostri lettori conoscono bene (l’abbiamo citata in un editoriale non più tardi di tre mesi fa): «Le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo». Non era un modo di rendere omaggio al genio di don Giussani, in qualche modo “padrone di casa”. Era la descrizione di quello che stava succedendo lì. E di ciò che può continuare a succedere nella vita, alle prese con l’anno che riparte e con il vero lavoro che sta dentro le occupazioni di ognuno: la verifica della fede. Buona ripresa. E buon lavoro.