Tracce N.8, Settembre 2014

La riconquista dell’umano
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Tra le tante cose che ci hanno spiazzato dell’ultimo Meeting, c’è un’immagine che ha colpito molti. L’ha usata padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, in un bellissimo incontro dedicato a questo Pontificato. Diceva Spadaro che si può intendere la Chiesa «come un faro», una luce che illumina la via alle navi in tempesta: «Sono qui, il porto è qui. Qui c’è la sicurezza». Ed è verissimo. È una roccia, la Chiesa. Indefettibile, da sempre. Ma c’è un altro modo di far luce a chi è nel buio: la fiaccola. Che non sta ferma, ma «cammina là dove sono gli uomini, illumina l’umanità dove si trova. Se l’umanità va verso il baratro, la fiaccola va verso il baratro, cioè accompagna gli uomini nei loro processi». È così che «magari riesce a strapparli dal baratro, facendoglielo vedere».
Molti sussulti in sala, tante domande poi. Nella confusione che regna tra le parole quando ci si distacca dall’esperienza, qualcuno ha pensato che quell’«andare verso l’abisso» sia segno di una fede in ritirata, accondiscendente, che ormai segue il mainstream della cultura dominante anziché guidarla controcorrente. Una specie di cristianesimo debole, che si accontenta della “testimonianza” e di dare al massimo il buon esempio, senza che questo possa cambiare veramente il corso della storia.

Niente di più sbagliato. Anzi, di più contrario all’esperienza, a ciò che accade. Perché per «accompagnare» l’umanità di oggi nelle “periferie esistenziali” care al Papa, nello smarrimento delle evidenze perdute e dei valori confusi, ci vuole molto più di un pensiero giusto. Ci vuole una certezza viva. Qualcosa che succede di continuo, che scopri e approfondisci di continuo, che ti genera di continuo. Bisogna fare esperienza del rapporto con Cristo. «Il cristiano non ha paura di decentrarsi» perché «ha il suo centro in Gesù», ricordava il Papa proprio nel messaggio al Meeting. È questo che dà la forza di compromettersi con la vita dell’altro, di fargli compagnia, molto più di quando ci si ferma sul bordo della strada a ripetergli le cose vere. Ed è questo che ci dà il gusto di scoprire man mano l’amore alla sua libertà. Non solo rispetto, ma proprio amore. Perché solo da lì, nella libertà, possono riemergere le evidenze e le esigenze che costituiscono il nostro cuore.

Subito dopo il Meeting, a La Thuile si è tenuta l’Assemblea internazionale dei responsabili di CL. In una ricchezza enorme di cose dette e vissute, c’è stata la testimonianza di una dottoressa: fa la ginecologa, è in prima linea su tanti fronti caldi. Tra molti esempi, ha raccontato della compagnia fatta ad una coppia di sposi che avevano scelto di tentare la fecondazione assistita. Del loro disagio, crescente. Fino al momento in cui lui è sbottato: «Dottoressa, ma che cosa è l’uomo? Perché ho l’impressione che proprio nel punto più sacro del rapporto con mia moglie si sia introdotto qualcosa di estraneo». Ecco, accompagnare a una scoperta così, fatta in prima persona dal di dentro dell’esperienza, incide più di tanti - pur sacrosanti - richiami etici. «Una definizione deve formulare una conquista già avvenuta», diceva don Giussani: «In caso contrario risulterebbe l’imposizione di uno schema».

È questa la vera battaglia in corso: per la riconquista dell’umano, del vero, dei valori, persino del significato di certe parole essenziali, dal di dentro dell’esperienza. Ed è questo che c’è in gioco nelle sfide che ci attendono. A cominciare, per esempio, dalla famiglia, a cui la Chiesa sta per dedicare addirittura due Sinodi proprio per fare luce in una confusione enorme. È un lavoro lungo, avventuroso, pieno di incognite, perché, come dice il Papa, ci costringerà a «cercare forme e modi» per comunicare «la perenne novità del cristianesimo». Ed è un lavoro appena iniziato. Che serve a noi e ai nostri fratelli uomini.