Tracce N.9, Ottobre 1997

Un'età di ragione
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«Con il riverbero delle sue umane ricchezze, la santità è tutt'altro che inutile alla società. Un popolo che volesse confinare entro i muri delle chiese questo quotidiano "dono di Dio", sarebbe sicuramente più povero» (Bologna, 27 settembre 1997). Questa è stata una delle affermazioni centrali di Giovanni Paolo II al Congresso Eucaristico Nazionale di Bologna.
Che l'esperienza della santità, cioè l'esperienza di Cristo nella Sua Chiesa, sia socialmente utile lo dimostrano le tante storie di oggi e di sempre che la Chiesa indica alla nostra memoria.

Ma perché la santità è utile? Occorre chiederselo, per fare in modo che la grande affermazione del Papa non venga ridotta a vuota retorica. Viviamo in un'epoca storica in cui l'uomo e specialmente i giovani sono poco educati a chiedere e a dare ragione delle cose. Per questo è più facile il rischio, anche per i cristiani, che affermazioni sacrosante si perdano perché appoggiate a un labile gioco di sentimenti o accolte nel breve spazio che si destina a un richiamo morale.
In ogni caso basta osservare l'umanità in azione di questo Papa per essere introdotti alla ragionevolezza e all'esperienza di verità contenute nelle parole che egli ripete.
Ecco, la ragionevolezza. Oggi la sfida per un cristiano è quella che san Pietro indicava già ai suoi primi discepoli: «Rendete ragione della speranza che è in voi». Vale a dire, mostrate come la fede esalta e risponde in modo impensabile alla tensione e alla dignità che caratterizzano la ragione dell'uomo, cioè il "cuore" dell'umanità di ciascuno. L'utilità sociale dei santi è nell'indicazione esemplare e concreta di una piena attuazione di quel che è la ragione umana: desiderio di bellezza, di verità, di giustizia, di bontà - infinito -, cioè di felicità.

Il premio Nobel C. Milosz immagina in una sua poesia l'uomo di fine millennio ridotto a pronunciare il nome di Dio ormai solo sotto l'effetto di una narcosi. Questo che molti chiamano il tempo di un risveglio religioso, ha piuttosto i tratti di un'epoca di sonno della ragione, ottenuto coi mezzi più potenti e subdoli, in modo che il nome di Dio si confonde con quello dei sogni o delle più strane cabale; ma è anche un'epoca in cui le forme più aberranti di potere dell'uomo e dello Stato sull'uomo appaiono quasi naturali, inevitabili.
Che il nome di Dio sia pronunciato e la Sua strada nel mondo sia testimoniata da uomini la cui ragione come l'ha data Dio non dorma, da uomini che nell'andare dietro all'avvenimento di Gesù Cristo - presente in una realtà di uomini cambiati dall'incontro con Lui - trovano l'ipotesi più adeguata per attuare la tensione e la dignità della propria ragione: questa è l'utilità sociale, il vantaggio per tutti, della santità cristiana.

Alla fine del film "Enrico V" il piccolo esercito di volontari inglesi vincitori nella battaglia di Azincourt, nel momento in cui hanno scoperto di aver vinto, con l'intonazione del re si sono messi a cantare il salmo biblico: Non nobis Domine, sed nomini tuo da gloriam. Non a noi Signore, ma al tuo nome dà gloria.
La gloria di Dio, dicevano i Padri della Chiesa, è l'uomo vivente. Cioè l'uomo che non abdica all'uso della ragione: coscienza della realtà secondo la totalità dei fattori implicati in essa.