Tracce N.9, Ottobre 2006

Il Papa ci sfida tutti sulla ragione
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La recente messa sotto accusa di papa Benedetto XVI per avere richiamato a un uso adeguato della ragione e a un retto rapporto tra ragione e fede ci riguarda. È la medesima accusa che don Giussani e tanti altri si sono sentiti fare ogni volta che hanno proposto un rapporto tra ragione e fede che non fosse quello fissato dall’ideologia illuminista o dal fideismo.
Fu il primo giorno di scuola, raccontava don Giussani; entrava per la prima volta, a metà degli anni 50, nel liceo Berchet, vanto dell’intellighenzia laica milanese, e uno studente subito gli intimò di lasciare perdere certi discorsi su ragione e fede, tanto erano distanti l’una dall’altra. Da lì, da quella scommessa di illustrarne il legame, perché la proposta di Cristo fosse colta in modo umanamente pieno, iniziò l’avventura del movimento di Comunione e Liberazione. Dunque, l’attacco a Benedetto XVI non tocca temi nuovi, anche se nuovo è il contesto in cui drammaticamente si è acceso. Dalle colonne dei media laicisti e di quelli fondamentalisti è stato fomentato il medesimo disprezzo verso la sua proposta. La stessa volontà di non accettare il confronto. Mistificando, mascherando.
Nascondendo le parole del Papa, pur di non dover fare i conti con la questione che egli sta ponendo a tutti, a Oriente e a Occidente. Ma la questione resta ed è piantata al centro della vita di ciascuno e della nostra società. Che cos’è la ragione? E che cos’è la fede? Di conseguenza, che cosa significa che una fede - qualunque essa sia - vissuta senza verifica della ragione e della libertà è un controsenso, e una fonte di piccola o enorme violenza? Che cosa significa che la fede non è un atteggiamento irrazionale, vale a dire, che c’entra con il conoscere le cose e con l’esistenza, col disegnare la propria vita o con le scelte di una società? Chissà se ci sono ancora spiriti liberi disposti ad accogliere queste antiche e nuove domande.
La risposta alla posizione del Papa è stata il più delle volte strumentale: c’era chi non vedeva l’ora di dipingerlo come crociato antislamico, e chi voleva annoverarlo tra i nemici che mettono in pericolo la pace. Oppure, peggio, è stata vile. Fino al silenzio assordante di governi e Stati.
Mentre nel popolo cresceva la curiosità per capire di che cosa si trattava - quanti a scuola e in università, al lavoro e all’uscita della messa, hanno letto la dichiarazione di don Carrón e il testo del Papa distribuito dal movimento in centinaia di migliaia di copie, ringraziando -, negli scribi e nei potenti prevaleva l’interesse a non lasciare spazio. Meglio un mondo diviso in fideisti e razionalisti che, nelle vicende della vita e della società, giocano allo scontro evitando il confronto sulla realtà delle cose. Lo si governa meglio.
Tutto è più facile, se gli uomini non sono educati a un uso corretto della ragione, cioè a non domandarsi il perché di tutto ciò che accade. Mentre il Papa, da uomo di fede e da uomo di ragione, invita tutti a un paragone con la sua esperienza umana per amore della verità. L’ha fatto con la semplicità e il coraggio di chi posa la propria persona intera nell’amicizia di Cristo. L’unica che rende liberi.