Tracce N.9, Ottobre 2016

La chiave di volta
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La data si avvicina. Tempo un mese o poco più, e il 20 novembre papa Francesco chiuderà la Porta Santa. L’Anno della Misericordia sarà finito, almeno nella forma. Ma non c’è niente di più grande e vero - niente che ci parli più di Dio - di qualcosa che passa attraverso la forma della nostra finitezza (lo spazio di una porta, il tempo di dodici mesi) per dilatarla, trasfigurarla, per far diventare quella stessa forma segno imponente dell’infinito. E il Giubileo è questo.
Ci è capitato più volte, nelle ultime settimane, di sentire persone dire: «Come sarebbe bello se questo Anno andasse avanti ancora». Non per una questione sentimentale, o per un attaccamento alle liturgie, alle catechesi papali, a certi momenti forti, ma perché - evidentemente - ha pescato nel fondo di un bisogno reale, e si vorrebbe che una risposta così potente alla nostra sete di perdono non avesse mai fine.
Bene: il bello è che è davvero così. Il perdono di Dio è eterno. Il tempo della misericordia è sempre. E questo dono che il Papa ha voluto fare alla sua Chiesa, questo Giubileo di cui tutti avevamo - abbiamo - così necessità senza che ce ne rendessimo conto, serve proprio a farci accorgere di questo.

Pochi giorni fa, al Santuario mariano di Caravaggio - e in tante altre chiese nel mondo -, c’è stato il Pellegrinaggio giubilare di CL. È coinciso con l’inizio dell’anno sociale, con la ripresa normale delle attività ordinarie e del cammino di ogni giorno. Non è un caso. «Senza misericordia non si può camminare», ha ricordato Julián Carrón, guida del movimento: «Senza perdonare ed essere perdonati, nessun rapporto avrebbe possibilità di durare». Senza l’abbraccio di Cristo che scende fino all’abisso del nostro limite, come è accaduto a Pietro, semplicemente non potremmo vivere.
Anzi, «non capisco come si possa pensare di fare un cammino senza ritornare al “sì” di Pietro», ha rincarato lo stesso Carrón: «Altrimenti come facciamo a ripartire? Non c’è possibilità di moralità, senza una Presenza». Per questo «una “storia particolare” è la chiave di volta della concezione cristiana dell’uomo, della sua moralità», come diceva don Giussani: «Perché la misericordia è una persona, la misericordia ha un volto: si chiama Gesù Cristo e si svela nel rapporto con te come si è svelato nel rapporto con Pietro; pur con tutti i suoi sbagli, le cadute, i tradimenti, niente di tutto questo è stato obiezione. Noi possiamo riprendere il cammino solo se Lui ci incolla di nuovo a Sé».

Una storia particolare. Un volto, un incontro, in cui la misericordia di Cristo si svela per attirarci a Sé. Sembra poco. Eppure, quando accade, cambia tutto. La nebbia si dirada. Si cammina. Persino l’incertezza diffusa che attanaglia il nostro mondo - quella “paura esistenziale” analizzata così bene da Zygmunt Bauman, uno dei più lucidi intellettuali della nostra epoca, nell’intervista che leggerete - si riduce. Anche in mezzo a questi cambiamenti d’epoca così potenti si può guadagnare la certezza che serve per vivere, come mostrano le piccole storie che raccontiamo subito dopo quell’intervista, o l’esperienza dei ragazzi di GS, o tante altre testimonianze che trovate nel giornale. Sono storie particolari, appunto: quotidiane, a prima vista insignificanti. Ma accadono. E, accadendo, mostrano una strada, per tutti.