L'eternità in agguato dentro ogni apparenza. Carisma e mandato

Parola tra noi
Luigi Giussani

L'intervento di Luigi Giussani al seminario organizzato dal Pontificio Consiglio per i laici su "Movimenti ecclesiali e nuove Comunità nella sollecitudine pastorale dei Vescovi" Roma, 18 giugno 1999

1.
Per uno che è cristiano e che ama con tutto se stesso la Chiesa, così come essa è e come sua madre gli ha insegnato ad amarla, lo scandalo è inevitabile quando si noti l'abbassarsi, improvvisamente e continuamente, del tasso di gente che va in chiesa, così come oggi l'informazione dei mass-media impone.

2.
Come si fa a non essere tentati di capire che qualcosa non va? E questo non si può riferire moralisticamente soltanto alla libertà del singolo; può destarsi nel cuore l'impressione che l'infedeltà allo Spirito raggiunga perfino qualche espressione di chi insegna il catechismo e nella fiducia di certi valori e opinioni del clima scristianizzato questo possa giungere ad essere valorizzato come un segno dei tempi, più che a essere letto nel mistero di Cristo. Insomma questo "qualcosa" che manca non può riguardare la natura del dono di Cristo. Non è un difetto di origine! Si tratta invece di una riduzione di ciò che Cristo ha voluto operare tra gli uomini, tutti indeboliti dal peccato originale: per questo Cristo è venuto. Perciò la decisione di seguire Cristo può essere eseguita da uomini che considerano la propria dedizione alla Chiesa alla luce del potere terreno, che mantiene l'origine e la dinamica di tutti, anche dei non cristiani; e così la mancanza del senso del Mistero snatura l'avvenimento stesso di Cristo. Di fatto si è potuto essere fedeli alla lettera della Tradizione senza che si fosse educati a una modalità cristiana che sapesse come siano i fondamenti di tutto ciò che nella Chiesa c'è.

3.
Pensando agli inizi della mia vicenda vorrei osservare che lo stimolo alla novità, invece, proveniva in me dal di dentro della fedeltà ai termini della Tradizione, all'insegnamento e alla prassi della Chiesa. Sono entrato in seminario giovanissimo, persuaso della necessità della Comunione e della Confessione come conseguenza del Battesimo. Ero un giovane seminarista, un ragazzo obbediente, esemplare, finché un giorno accadde qualcosa che cambiò radicalmente la mia vita. Fu quando un mio insegnante spiegò a me, in seminario, la prima pagina del Vangelo di Giovanni: "Il Verbo di Dio, ovvero il termine delle esigenze del cuore umano, cioè l'oggetto ultimo dei desideri di ogni uomo - la felicità -, si è fatto carne". La mia vita è stata letteralmente investita da questo: sia come memoria che persistentemente percuoteva il mio pensiero, sia come stimolo a una rivalutazione della banalità quotidiana. L'istante, da allora, non fu più banalità per me. Tutto ciò che era, perciò tutto ciò che era bello, vero, attraente, affascinante, fin come possibilità, trovava in quel messaggio la sua ragion d'essere, come certezza di presenza in cui era speranza di tutto abbracciare. Ciò che mi diversificava da chi mi circondava era la voglia e il desiderio di capire. È questo il terreno su cui la nostra devozione alla ragione nasce.

4.
Io mi sono interessato agli studenti, perché i rapporti che ho avuto, già dai primi tempi del mio incarico di docente in seminario, erano tutti con studenti. Non fu la scelta di un ambiente particolare a cui dire certe cose; mi trovai lì. Così come trovai quei tre ragazzi in treno, un giorno, andando a Rimini. Non li conoscevo e li scoprii terribilmente ignoranti e carichi di pregiudizi sul fatto cristiano. Fu questa la ragione che mi spinse a chiedere ai superiori di abbandonare l'insegnamento della teologia in seminario per dedicarmi a un lavoro di presenza tra i ragazzi delle scuole di Milano. Le cose che dicevo loro nascevano non da una analisi del mondo studentesco, ma da quello che mi diceva mia madre e il seminario. Si trattava, in sintesi, di parlare ad altri con parole dettate sì dalla Tradizione, ma con visibile consapevolezza, fin nelle implicazioni metodologiche. Quello che facevo, in qualunque punto della Chiesa l'avrei fatto! Quello che sentivo e vedevo era come un modo nuovo, non intuito prima, se non nei testi dei Padri e in quelli papali. Questo accorgermene nasceva da un'esperienza. Le stesse parole del Vangelo e della Tradizione le leggevo in un modo nuovo. La differenza tra gli integristi e i tradizionalisti e noi è che, mentre essi, per salvare la forma antica, volevano richiamare gli altri alla condizione di prima (e imitare meccanicamente i loro padri) per noi occorreva, proprio per salvare la Tradizione, capire in che cosa consistesse il contenuto della stessa, renderne ragione e darne l'esempio. Io "capivo", e altri con me, che Cristo era lì, presente.

5.
Ho cercato di chiarirmi, di spiegarmi questa grazia di conoscenza e di riflessione che avevo avuto. Tante volte mi sentivo non accettato dalle parrocchie e dalle associazioni ufficiali, ma per me l'immagine che mi veniva dava una gioia e una sicurezza del fatto cristiano senza paragone e lo rendeva un fatto che riempiva tutto il cuore nell'apertura alla totalità della realtà della Chiesa nel mondo. E questa certezza, questa speranza e questa apertura si traducevano nei ragazzi che avevano iniziato a seguirmi. Era l'emergere di un modo di sentire la presenza di Gesù nella Chiesa come risposta totale e totalizzante alle domande del mondo. Mi sono accorto dopo molti anni, proprio nel paragone sempre ricercato e amato con l'autorità della Chiesa, che il mio desiderio, la passione del cuore che sentivo per questa novità di vita erano grazia particolare dello Spirito, che si chiama carisma. Carisma mi è apparso con chiarezza la modalità concreta con cui lo Spirito fa nascere nel cuore dell'uomo una comprensione e un'affezione adeguata per Cristo in un determinato contesto storico. E chi lo riceve "deve" partecipare al mandato di Cristo: "Andate in tutto il mondo!". Dal dono dato a un individuo inizia una esperienza di fede che può risultare in qualche modo utile alla Chiesa. Capisco che uno senta una modalità espressiva più interessante di un'altra, ma ci può essere un modo in cui il carisma traduca, comunichi con coscienza chiara quello che san Paolo afferma della creatura nuova; non appena dell'intelligenza nuova o di un cuore nuovo della carità, ma della creatura nuova nella sua integralità! E questo attraverso una sottolineatura di quello che è il metodo cristiano. Come Dio si è reso presente all'uomo in Gesù di Nazareth, così la formula nostra per sentire vibrare il Protagonista di questa storia è verificarlo Presenza integralmente umana e, quindi, origine di qualcosa che nella sua totalità, diventando sorgente di un uomo diverso, diventa sorgente di una società diversa.

6.
La dinamica di riconoscimento e di verifica della Presenza di Cristo fa diventare chiunque creativo e protagonista e gli fa scoprire come l'attività del cristiano sia per natura missionaria, cioè compartecipe al metodo stesso di Cristo che ha creato la Chiesa per farsi conoscere in tutto il mondo. Lo scopo dell'esistenza cristiana è dunque vivere per la gloria umana di Cristo nella storia. Perciò amiamo tutte le forme che la Chiesa riconosce e siamo pronti nei nostri limiti a collaborare con qualsiasi iniziativa. Qualsiasi cosa noi facciamo non possiamo non concepirla come missione, destino ultimo di ogni azione. La nostra certezza, sorgente di gioia, è l'appartenenza alla Chiesa, dalla cui autorità, così come essa si traduce a tutti i livelli, dipendiamo, domandando di essere riconosciuti, pronti al sacrificio fino a quello della vita, ma innanzitutto pronti in ogni tempo a convertire mente e cuore da una mentalità mondana.

7.
Per questo la nostra concezione morale, riconoscendo la soggiacenza dell'uomo al peccato originale, desidera attraversare nella simpatia profonda per Cristo presente l'apparenza di ogni cosa per affermarne il Significato ultimo, affinché il rapporto con qualsiasi cosa sia vissuto come segno e invito al Destino. Il cristiano è così un uomo che percepisce l'eternità in agguato dentro ogni apparenza.