Nell'incontro con quell'uomo la percezione del mistero

Parola tra noi
Luigi Giussani

Appunti da una conversazione di Luigi Giussani con un gruppo di Novizi dei Memores Domini
Milano, 19 dicembre 1998


Vogliamo fare un'assemblea per chiarire il passo che stiamo facendo, cioè il legame tra la ragionevolezza del cominciare e la questione della fede (1).
Io ho accettato di venire qui, per rispondere a tre domande sui primi due capitoli di Si può vivere così. Perciò cominci chi sente di avere una domanda comprensiva su questi due capitoli.

Io desidero conoscere il Destino, desidero conoscere sempre di più Cristo e ho l'urgenza che in questo lavoro tutto di me sia in gioco. Abbiamo visto che la fede è un metodo di conoscenza con cui si può conoscere una realtà che non è conoscibile né direttamente per evidenza, né direttamente per analisi dell'esperienza. Mi sono chiesto: ma il Mistero non si conosce anche attraverso tutta la realtà in quanto segno? Quindi è come se la dinamica della fede diventasse più ampia. Ma si dice in un passo che la fede si gioca a livello delle persone: io ho fiducia in una persona e non in una cosa (2). Vorrei capire meglio questo.
Non si può aver fede nella natura: nel pioppo, nelle balene, ecc. Non si può aver fede in queste cose. Invece, queste cose, in cui non si può avere fede - diremo dopo il perché -, sono segno di un'altra cosa, suppongono, per essere, per esistere, per farsi vedere da te e da me, qualcosa d'altro. Fino a questo punto deve giungere la ragione dell'uomo, la quale è coscienza della realtà. Coscienza della realtà: la balena è una realtà, la stella che non si vede è una realtà, il cielo è una realtà, ed è una realtà anche il turbine di disastri che avvengono nel mondo - a leggere i giornali o ad aprire la tv alle sei del mattino per sentire le notizie sul canale della Svizzera, uno si introdurrebbe nel mondo, un'ora dopo, con l'anima a pezzi, non volendo sentire quasi più nulla; invece, è attraverso quegli indici, le circostanze in cui viviamo, che il Signore ci indica la strada.
Ora, facendo la strada, facendo il cammino, un certo giorno, in un autogrill, incontro - mai conosciuto, mai pensato e mai immaginato - un estraneo, uno che viene dal di fuori della mia regione, uno straniero, che sta parlando mentre mangia. Siamo nell'autogrill, sto mangiando, e ci sono tre persone nel tavolo, davanti a me, che parlano, dicono qualche parola che mi interessa. Allora aguzzo l'orecchio e sento, fra l'altro, uno di loro, che dice: «Io sono la via, la verità e la vita» (3). Mentre mangiavano! E gli altri due, da quel momento, non hanno più parlato. Parlava lui! Dopo, quando hanno finito di mangiare, sono andati via insieme - io stavo sempre lì vicino, guardavo ininterrottamente - e hanno preso una strada per i campi.
Se io fossi stato insieme ai due - il terzo insieme ai due, il quarto era con quell'uomo che parlava -, avrei detto, anzi, prima avrei taciuto, ma poi avrei detto: «Ma da dove vieni tu?». «Vengo da Nazareth». «E cosa fai?». «Eh, dovrò fare anche il pescatore». «Ma come hai fatto a dire quella cosa?». E lui lo spiega. Perché gli uomini non sanno cos'è Dio. Tutti possono parlare di Dio. Fino a quando tu non definisci nulla, cioè non dici: «Dio è così», tutto può essere messo in questione. Ma «a sentire quest'uomo - diceva uno dei due all'altro, mentre tornavano a casa loro, abbandonando la villa dove lui stava -, io sono rimasto impressionato. Sono rimasto impressionato che un uomo dica una cosa simile. Ma come si fa? O è pazzo oppure c'è qualche cosa d'altro che io non conosco. "Io sono la via, la verità e la vita [la strada giusta per uno scopo giusto, vero]": come fa un uomo a dire così?". Ma poi l'altro dice: "Sì, sì, anch'io non capisco, non capisco come sia così, ma parla come i nostri profeti, come i libri dei nostri profeti [perché anche loro avevano la Bibbia!]. Chissà!».
Poi vanno altre volte, diventa abituale per loro andar con lui, perché erano sempre più attratti da quello che diceva. Toccava cose che nessuno metteva in questione, perchè o non si capivano o non si sentivano in giro. Ma parlava anche di cose su cui tutti avevano una certa idea. Però nessuno aveva mai detto che non si può conoscere senza amare:(4) anche l'evidenza più chiara assume il significato di quello che il cuore fa sentire.
Già, cuore: cosa vuol dire "cuore"? Noi come definiamo il cuore?

È quell'insieme di esigenze e di evidenze con cui l'uomo è buttato nel paragone con la realtà. (5)
E la realtà cos'è? È ciò di cui tutto è fatto. Tutto quel che è e accade è fatto: come sono evidenti le cose! Però, altrettanto evidentemente, non si sa come "siano", non si sa come facciano ad essere così. È chiaro che tu non ti sei fatta da te. E allora? Ci sei e non ti sei fatta tu. L'evidenza più grande, la scoperta più grande che io, che un uomo possa fare è questa: capire che sono niente eppure ci sono (6). Queste cose le diciamo solo noi: in qualsiasi altro luogo della società oggi, non c'è nessuno che le dica, mentre sono così evidenti. Sono le prime cose evidenti. Non c'è niente di più immediatamente accettabile di questo.
Facciamo un altro esempio. In un paese del Triveneto, cattolicissimo come ambiente, c'era uno che, disubbidendo a sua madre, era andato a trovare, in una certa taverna, in un paese vicino, un gruppo di tre o quattro giovani scalmanati che a lui piacevano. Era andato lì, e questo nel tempo lo aveva dissuaso dall'andare in chiesa alla domenica, dall'ascoltare sempre sua madre. E sua madre voleva più bene a lui che al suo destino (diciamo noi, perché lei non ci pensava, non faceva questa connessione). Insomma, quel ragazzo è diventato Pasolini. Egli, la tradizione cristiana genuina, avendola succhiata dal seno di sua madre, l'ha avuta, la doveva vivere, era costretto a viverla, anche se interpretava tutto in modo diverso: secondo la mentalità del gruppo. Dunque, è diventato Pasolini, uno dei più grandi scrittori italiani, documentativo dei valori che un certo socialismo esercitava. E poi era anche poeta, un artista grande.
In quegli anni i comunisti (in minoranza, non ancora al governo, come sono adesso per l'aiuto dei cattolici di sinistra), molto più intelligentemente di altri soggetti della vita pubblica, facevano grande sfoggio nell'aiutare i centri culturali, le mostre dei pittori, i centri dove l'uomo poteva essere più commosso dalla realtà. Così la maggior parte in Italia diceva: «Chi ha in mano la cultura sono loro». E chi ha in mano la cultura, col tempo che passa, vince certamente. Infatti, se il cristianesimo è così poco conoscibile e quindi poco "recettabile" adesso, è perché si è continuato a chiamare l'uomo a partecipare a certi gesti, e l'unico contenuto del cristianesimo, per un secolo, è sembrato essere il problema morale, il problema morale ridotto a un punto solo, al sesto e al nono comandamento, vale a dire al problema del sesso (come si vede adesso negli Stati Uniti). Una eccezione sembrò nascere nel Sessantotto, quando la rivoluzione tentata dai giovani - manovrati da chi stava sotto o in alto! - disse che il male era il modo con cui si usava il potere, perciò bisognava crearsi una posizione più forte di quella del potere per prendere, loro, il potere. Così, invece del sesto e nono comandamento, si sottolinearono il quinto e il settimo: la giustizia sociale (7). Ma col difendere la giustizia sociale, poi, passò un'ondata di mare pieno negli altri campi.

Qual è la differenza tra il primo caso e il secondo? Nel primo caso, anzi, nell'antefatto cui ho accennato - che anche la balena "parla" del Mistero - è soltanto il senso religioso che deve essere applicato. E il senso religioso è la ragione in quanto capace di diventare cosciente della realtà secondo la totalità dei suoi fattori. Quando uno vede una montagna o una balena, non può dire soltanto: "è una montagna", "è una balena", ma: «chi l'ha fatta? chi fa queste cose?». Come quella bambina, adottata a tre anni da un mio amico assolutamente ateo, con una moglie atea (hanno fatto un gesto grande a prenderla): intelligente e spigliata, dopo due anni con loro, a cinque anni, dunque, non sapeva «né leggere né scrivere», nel senso "religioso" del termine, non aveva cioè nessuna educazione in termini religiosi. Sono andati a fare una grande gita sulle Dolomiti; a un certo punto, non so più dove, appare uno scenario grandioso: i due genitori sono rimasti a guardare ammirati; la bambina - che aveva cinque anni! - si volge verso di loro e dice: «Mamma, chi ha fatto questa cosa?». Da qui è partita la loro ripresa della religiosità, dell'esperienza religiosa, che è nella nostra tradizione cristiana.
Perciò, ciò da cui si parte è la realtà, qualsiasi realtà. Anche Gesù Cristo in croce o Cristo risorto sul lago di Tiberiade appartengono alla realtà, perciò sono da questo punto di vista oggetto della ragione, perché appartengono alla realtà come cosa evidente, come fatto che accade. È soltanto la ragione, infatti, che può captare la presenza di ciò di cui si parla.
Secondo caso. Ci sono degli incontri o dei fatti o una realtà naturale che pretendono di essere "qualche cosa". Come per Pasolini. Pasolini ha incontrato un gruppo di persone che si ponevano contro la società di allora, contro la cultura di allora, come innovatori, come scopritori di una cosa nuova, di una via: «La vita vera è questa, è vivere nella società, vivere liberi, facendo quel che pare e piace», oppure «è vivere nella società essendo liberi; e, per essere liberi, occorrono i "condizionatori" posti dallo Stato socialista». Insomma, le conseguenze di una cosa che affermiamo, a seconda della sua natura, possono essere tante; ma ci sono comunque conseguenze per ogni cosa che si incontra e che interessa all'uomo.
Nell'esempio dei due o tre pescatori della Galilea, invece, quell'uomo ha detto: «Io sono la via, la verità e la vita»: una cosa così trascendente, una cosa così totalizzante, è una pretesa dell'altro mondo! Loro avrebbero potuto dire: «Chissà cosa vuol dire quello lì! Ma è pazzo! "Via, verità e vita", cosa vogliono dire "via, verità e vita?"». Via, un modo, un metodo per essere veri, per raggiungere la verità, anzi, per rendersi coscienti di una vita che c'era dentro. Ma erano tre cose troppo grosse perché quei due sapessero tirare delle conseguenze.

Erano colpiti, e questo loro colpo, questo loro shock l'hanno messo in questione tante volte. Per esempio quella volta che l'hanno invitato ad andare in barca con loro; ma prima ancora sono andati a un pranzo di sposi con lui a Cana (8); poi l'hanno portato anche in giro sul lago di Tiberiade. Andò con loro più volte a pescare, anche di notte. A un certo punto, dopo tre o quattro volte che lo portavano, una notte, vi fu una tempesta grave: il vento era fortissimo, quasi un uragano; il lago di Tiberiade, in questi casi, fa delle ondate che tirano su perfino i sassi dal fondo. Perciò quei pescatori, che conoscevano bene il lago, avranno sbagliato ad andar fuori quella sera o, forse, sono andati lo stesso perché c'era lui. Comunque, lù 'l durmiva! (lui dormiva). Sembrava che neanche il vento turbinoso, neanche le ondate terribili - che saltavano da una parte all'altra della barca - lo svegliassero. Era così stanco che era lì, con la testa giù, e dormiva. Finché uno gli andò vicino - lo avrà preso per un braccio, non so, lo avrà scosso, perché erano amici - e gli disse: «Ma caspita, Maestro, qui si va a fondo!». E lui: «Che cosa temete, uomini di poca fede?». Così, gridò al vento e al mare: «Tacete! Finitela». E il mare, a quella parola, si fece improvvisamente calmo, senza più ondate, solo col fruscio della risacca. Allora quelli, che già sapevano, già conoscevano dove viveva, chi erano suo padre e sua madre, loro che lo conoscevano dicono: «Ma chi è costui?» (9). Fanno ancora la stessa domanda che dentro di loro avevano fatto in principio. Era andato a mangiare insieme con loro tante volte. Ma da uno che mangia insieme con te a uno che dice: «Io sono la via, la verità e la vita» c'è uno sbalzo enorme! Lo sbalzo è enorme per la ragione: «Cosa devo dire di quest'uomo?». Tutte le volte, nei passi più decisivi del Vangelo, c'è la documentazione della vicenda umana nel rapporto con Dio proprio in questi termini: «Ma chi è costui?».
Immaginate dopo tre mesi. Da tre mesi si sono conosciuti e sono diventati amici; per questo si trattavano familiarmente. Sono diventati amici. Perché? Perché c'era qualche cosa di quello che lui diceva che corrispondeva al "cuore". E tutto questo era evidente. Ma quello che non era evidente era il contenuto, quello che stava al di là della parola: «Via, verità e vita», perché tutti loro prendevano queste tre parole nel senso in cui ognuno di noi le usa, ognuno di loro le usava: non come una totalità, come parole che rappresentano e fanno vivere tutto, abbracciano tutto nell'uomo, ma per descrivere: "via", un passaggio da Milano a Bergamo, "verità", un'approssimazione in cui tutte le matematiche e le scienze comunque sono, e "vita", si capisce subito la vita!
Insomma, sono andati avanti per due anni così. In questi due anni, tra l'altro, lui faceva i miracoli: ogni tanto - tac, tac, tac -, come se niente fosse! Come, per esempio, quel lebbroso che diventò improvvisamente sano perché lui l'aveva toccato (10). O come quella ragazzina che era morta, di cui lui conosceva la famiglia: è andato in casa loro, ha fatto uscire tutti dalla stanza della morta, e poco dopo ha aperto la porta dicendo: «Ecco vostra figlia», e quella è rivissuta!(11).
Dunque, a un certo punto non tiene più nessun paravento, non c'è più nessun alibi che si possa creare: o andavano via da lui subito oppure dovevano "piantare" lì un'altra domanda, come quella che hanno fatto dopo la notte sul lago: «Ma questo chi è?» - lo dicevano tra loro, non a lui.
La cosa si è rivelata quando Gesù ha detto a Pietro: «La gente chi dice che io sia?». «Mah, un ciarlatano, un profeta, un grande uomo, un potente uomo». «E voi cosa dite?». «Tu sei il Cristo, il Messia, il mandato del Dio vivente» (12). Simone aveva dato questa risposta spontaneamente, quasi brutalmente, non perché avesse capito quello che diceva, ma perché sentiva che questa risposta era più proporzionata a ciò che quell'uomo era. L'evidenza di quell'uomo era senza obiezione nel cuore.

È lì che Gesù disse: «Il Mistero mi ha mandato a voi, al mondo, facendomi incarnare nella vostra umanità…». È un uomo! È come se il Mistero avesse afferrato nell'intimità di una donna l'origine, il balzo originale della vita (il seme da cui poi si arriva a 76 anni senza più la voce!); è come se il Mistero, volendo far capire all'uomo cosa è Lui - Dio - per l'uomo (che è sempre un singolo, innanzitutto un singolo, perché la persona è così!), la prima cosa che ha voluto dirgli è che il Mistero è buono. L'uomo, nel suo vocabolario, può trovare soltanto questa formula: «Il Mistero è buono». O un'altra connessa con questa: che l'uomo non è senza difetti, non può mai togliersi i suoi difetti totalmente (normalmente ci è dentro a mollo, ci è dentro fino alla gola), ma il Mistero perdona tutto. "Perdonare" non era la parola giusta: Lui aveva "misericordia" di tutto. Di ciò che il Mistero realizza, quello che la ragione capisce è il perdono. Mentre della parola "misericordia" non si capisce nulla. Infatti, quel che si capisce è una riduzione umana. Ma questo spero che lo leggiate anche negli opuscoli dei nostri Esercizi (13). L'ho sottolineato molto in questi due anni, perché prima non capivo. Ho detto una volta a uno: «Io vi ho detto tutte cose giuste che non capivo». Se prima qualcuno mi avesse domandato: «Ci spieghi questo?», avrei risposto senza riuscire a tirar fuori tutta la logica interiore delle cose che dicevo; avrei risposto tirando le conseguenze di un'evidenza che avevo avuto.
Allora, pensiamo a chi è in causa nel rapporto con Gesù come uomo - come uomo! -: se Gesù gli avesse domandato cosa ne pensava di Lui, avrebbe detto: «È un profeta, un genio…». Invece san Pietro dice una frase che ha sentito da Lui e che non capisce: «Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivente». Perciò Gesù gli dice: «Bravo, sei grande, Simone, perché quel che hai detto adesso non te lo sei detto tu, non l'hai trovato tu con la tua ragione, ma è il Padre - cioè il Mistero come origine delle cose - che ti ha raggiunto: hai detto una cosa che ti suggeriva lo Spirito senza capire cosa fosse, cosa volesse dire» (14). Non come parola in sé; come parole, Simone capiva quel che diceva. E avrebbe salvato quelle parole, quell'espressione, anche di fronte ai farisei, ai capi. Era così, Simone. Dopo ha ceduto un po', ma Cristo l'ha preso e gli ha detto: «Ti do tutto. Tutto quello per cui sono venuto lo do a te; lo do a te, lo lego alla tua azione» (15). E lui si è messo insieme ad altri apostoli, i più amici suoi. È a questo punto che il problema "fede e ragione" gioca.

Hai detto che loro prendevano quelle parole "via, verità e vita", come ciascuno di loro le usava, non come una totalità...
Via, verità e vita: Cristo non ha usato parole strane per dire quello che voleva dire. Ma quel che voleva dire con una parola non si poteva pretendere di definirlo e di capirlo nella sua complessità ultima e nel suo orizzonte ultimo. Si sono meravigliati certamente di queste parole, tanto è vero che le hanno mandate a memoria (perché il Vangelo è fatto tutto di memorie, di ricordi) (16). Cristo ha detto: «Io sono via, verità e vita», e il tempo ha fatto capire agli apostoli in che senso era la via, in che senso era la verità, in che senso era la vita. È il tempo che fa capire la pregnanza di una parola. Giunto a 75 anni, la cosa che Dio più mi ha fatto capire è stata questa: «Tutto ciò che hai fatto, tutto ciò che è venuto fuori dal tuo primo passo al Berchet, tutto ciò che si è sviluppato da quella condizione elementare [in cui non ero neanche sicuro di giostrarmi bene col mio Rettore maggiore o col Vescovo], tutto ciò che è nato sono Io che l'ho fatto nascere», dice il Signore. Perché Dio è tutto in tutto (17). Così, hanno pubblicato in un libro le cose che dicevo, gli articoli che facevo prima di Gs e nei primi anni di Gs (18); leggendo quegli articoli, tutti hanno detto: «Ma c'era già tutto, dicevi già tutto allora!». Non capivo quello che dicessi, ma non ero impostore, dicevo quello che io facevo come lo comprendevo allora.

Gli apostoli, quando si sono accorti dell'eccezionalità della presenza del Signore, in qualche modo erano impegnati con la loro umanità…
Io ho detto che sono stati impressionati dal Signore, perché, parlando con lui, "rinveniva" il cuore: lui era d'accordo col cuore.

Dopo che hanno incontrato lui, quindi, la vigilanza sul cuore coincideva con la vigilanza su quella Presenza: era stando con quella Presenza che in qualche modo il cuore ritornava continuamente a vivere. Io invece ho l'impressione che ogni tanto noi torniamo indietro, cioè pensiamo di impegnarci con la nostra umanità a prescindere da questa Presenza…
Sì, sì, benissimo. Soltanto che io mi immagino che, per esempio, Andrea e Giovanni, oppure Simone, oppure Filippo, oppure Natanaele (sono i primi cinque ad essere nella memoria di san Giovanni) (19) potevano avere un atteggiamento diverso: perché uno era stato scioccato e "scaldato", sentiva proprio di andar dietro a quell'uomo; l'altro invece, poniamo, aveva una famiglia, aveva moglie e figli: «Verrei; se fossi libero, verrei, ma…». Quando si fa un incontro, questo incontro, la questione principale è che il Mistero, facendoti incontrare questa cosa, vuole la tua vita in un altro modo. Allora tu devi seguirlo; quell'uomo lì lo segui. Se ti conferma l'impressione che hai avuto in principio, giungi a un certo punto in cui ti senti pieno, ti senti di attaccarti a lui, ti senti di riferirti a lui più che a qualsiasi altra cosa. Uno si attacca come una pianta di verbena a ciò che la sostiene: si attacca! Il giorno dopo, due giorni dopo, tre giorni dopo, non abbandoni certe tue abitudini cattive (certi insulti alla moglie, certo tradimento della moglie…). Ma se uno ti venisse a dire: «Quell'uomo non vorrebbe che tu facessi così", e tu: "Va bene, io sono d'accordo lo stesso", e lui: "Ma, allora, tu non sei più dei nostri", tu diresti subito: "Io vorrei esser dei suoi. Voglio essere dei suoi! Sento di più l'esser suo che l'essere con le donne come fanno tutti. Non posso più farlo, perché sono attaccato a quell'uomo, sono più attaccato a lui che ai miei istinti o alle mie reazioni o ai miei momenti che reputo strambi» (20).
L'incontro assume un significato per la nostra vita secondo il tempo in cui lo manteniamo. Per mantenere il succo buono di un incontro, l'impressione buona di un incontro, bisogna ripensarci: il tempo che passa lo fa diventare più chiaro e persuasivo. Magari uno non sa ragionarci su, però, ultimamente, ha verso di esso una profonda simpatia, come espressione del cuore. Perché il cuore esprime una simpatia, vive della simpatia. Meglio, vive della verità, il cuore. Infatti la cosa più bella che diciamo è che non si può conoscere senza amare, perché la conoscenza è un'attrattiva. Se non segue un'attrattiva, non è neanche conoscenza reale, la conoscenza rimane alla superficie di sé e non tiene: uno non ricorda.
Perciò, sono d'accordo con l'intervento fatto, ma sottolineerei la necessità del tempo. E non di un tempo astratto, ma di un tempo concreto, cioè il mantenimento del legame con lui, con quello che hai sentito.
Ma c'è anche un'altra cosa da dire: voi avete fatto quest'incontro, tant'è vero che siete qui. Fosse durato tre minuti, vi ha permesso di venire qui. Perciò ha dato un esito abbastanza imponente. Perché uno che viene qui, in un posto che non conosce e in cui il dialogo è "strano", uno che è qui adesso, ha fatto un incontro. Facevo l'obiezione a me stesso: "Ma può essere che uno l'abbia fatto senza ragioni!". Benissimo: non l'hai fatto con delle ragioni, ma adesso io te la dico la ragione per cui tu devi cambiare quello che ti sentivi prima. Chiunque è qui ha fatto un incontro!

Perciò chi ha fatto un incontro deve impegnarsi con ciò che ha incontrato, il che coincide con l'impegno con la propria umanità.
Se tu hai fatto un incontro, il comportamento tuo verso ciò che ti è capitato dipende dalla lealtà tua, ultimamente si dovrebbe dire dalla moralità tua. La moralità è la funzione di un particolare per il tutto. Non è un particolare della tua vita, come un soffione che "fff", basta un soffio e va via. Giovanni e Andrea, pensate come sono rimasti colpiti quando, quella notte, tutti in barca, dicevano: «Ma chi è costui?». È la stessa domanda che gli hanno fatto i farisei. Prima di pestarlo e ammazzarlo, gli scribi e i farisei sono andati là, in pubblico, a dirgli: «Ma fino a quando ci tieni col fiato sospeso? Chi sei tu e donde vieni?». E lui ha taciuto, perché non era sincera, reale, quella domanda.
Perciò, la questione più grave per ognuno di voi che siete qui è che, essendo stato chiamato, ognuno di voi deve cercare d'ora in avanti il come può capire di più e bene la strada da battere, cos'è la verità, la verità che ha incontrato, e la vita che deve vivere. Queste sono tre cose che l'uomo, qualsiasi idea abbia, deve accettare.
Pasolini ha cercato una strada sbagliata: ha detto che la verità non c'è - meglio, che la verità non si sa cosa sia, come sia, come ha detto Malraux (21) -, e che la vita è fatta di cose immediate (mangiare e bere…). Ma lentamente, nella sua vita, si è sentito riecheggiare quello che diceva sua madre sulla vita, sulla verità e sulla strada da battere. Se avesse incontrato uno con la nostra passione, se fosse venuto a un gesto della nostra comunità, soprattutto a certi momenti, Pasolini avrebbe pianto.
Per questo ho detto che, se uno di voi è qui, ha avuto un incontro. Occorre sviluppare quest'incontro, cercare di capirlo. Non si può partire solo quando si capisce tutto. Mai, nessuno! Non c'è niente al mondo che si riveli, diventi chiaro, nell'istante in cui accade la cosa.
Perciò non si può dire che la pretesa della cosa che vi ha mandato qui è insopportabile. No, è insopportabile a chi non vuole né la verità né la vita: a chi è impostore e va contro se stesso. Non lo dicono gli altri, lo dici tu: se rifletti, l'alleggerimento del tuo sì o del partecipare alla cosa come ti si presenta è una slealtà, a seconda del contenuto di ciò che ti ha incontrato, di ciò che hai incontrato tu.
Allora, qual è la differenza tra senso religioso e fede? Oppure, che cosa dice il senso religioso sulla parola fede? Il senso religioso è la ragione, la ragionevolezza. Si dice proprio "senso religioso" la ragionevolezza, perché se la ragione è cogliere la realtà secondo la totalità dei suoi fattori, a questo essa non arriva mai, c'è sempre il punto di fuga (c'è un punto di fuga per cui tutta la verità passa, schizzando fuori o schizzando dentro). La ragione ha un punto-limite. Anche se uno andasse sulla cima dell'Himalaya credendo di poter vedere il panorama di tutto il mondo, salito in cima, sull'Everest, vedrebbe fino a un certo punto, fino alla Kamciatka, ma nella Russia non penetrerebbe, per esempio: non può vedere altro, "oltre" quello. Si quieta l'uomo soltanto quando sente tutto, conosce tutto e possiede tutto. "Ciascun confusamente un bene apprende/ nel qual si queti l'animo, e disira;/ per che di giugner lui ciascun contende" (con-tende: insieme agli altri è costretto a farlo) (22).
Questo "oltre" è il Mistero. Perché, ciò che non è Mistero, la ragione giustamente programma di conoscerlo. Tutto la ragione può conoscere, eccetto il Mistero. Ma il Mistero è quello che la fa, è il creatore, perché la ragione non si crea da sé. E questa è l'evidenza più grande che la ragione abbia: il momento in cui sono più consapevole che non mi faccio da me, ma un Altro mi fa, è adesso, l'istante che vivo.
Allora, il significato ultimo di tutto ciò che si vive e accade, che ognuno cerca, come desiderio suo, di conoscere, di capire e di realizzare nelle sue conseguenze esistenziali, in ultima analisi non può definirlo la ragione. Perché se la ragione è rapporto con la realtà secondo la totalità dei suoi fattori, una donna non può essere definita dall'uomo con cui va, e un bambino non può essere definito dalla madre da cui nasce. Non è più possibile un livello di verità nel rapporto con la donna, con l'uomo, con i figli, non è più possibile un atteggiamento di verità, se non si passa attraverso quello che non si ammette, che tanti credono di non poter ammettere, cioè Dio, il Mistero. E nella vostra vita, sulla vostra strada, vedrete che senza aderire al Mistero, l'uomo non può sostenere nessun gesto giusto o buono, completamente buono.
Allora, supponete che il Mistero per persuadere l'uomo che Lui, il Mistero, è una realtà - è la realtà più decisiva per tutto il resto della realtà; è la realtà che crea tutto il resto, che si comunica al resto, cioè al mondo, con tutto quello che attira o disonora -, supponete che il Mistero per comunicarsi all'uomo - che è l'unico punto di tutto il cosmo che è coscienza delle cose (nessun'altra realtà ha coscienza) - per farsi conoscere dall'uomo come realtà super-umana, diventi un uomo. Il Mistero è scivolato nel tempo; è nato da una donna: Non horruisti virginis uterum, (23) non hai sdegnato di entrare nelle viscere di una donna; è nato dalle viscere di una donna come ognuno di noi.
È stato un uomo come noi, andava in giro per i viottoli di Nazareth, oppure andava nella sinagoga con gli altri, cantava con gli altri. Lui, come uomo, è come se non avesse avuto ancora coscienza di quel che era, se non quando è andato da Giovanni Battista. Giovanni Battista l'ha battezzato con gli altri, e in quell'istante Giovanni e lui hanno sentito lo Spirito Santo, lo Spirito del Mistero, che diceva: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto» (24).

Ma, essendo uomo, nato in un certo paese, con una certa madre, di quel paese e dei suoi abitanti era un familiare, era uno di loro. Così, aveva un certo modo di parlare, di fare. A trent'anni nessuno più riconosceva la novità che portava, tant'è vero che quand'è andato a dire nella sua cittadina: «I profeti hanno parlato di me. Il Messia desiderato sono io», (25) volevano buttarlo fuori, giù dal monte. Ma immaginatevi cosa dovevano sentire e capire i suoi concittadini: «È matto! È matto!». Oppure: «È un matto pericoloso, perché parla in modo tale che rinnega tutte le nostre profezie; elimina il popolo», che invece per l'ebreo è giustamente il soggetto adeguato del rapporto con Dio (il quale, se viene a comunicare con l'uomo, non passa attraverso la via solita della generazione umana: horruit virginis uterum, bisognerebbe dire!).
Comunque, quest'uomo, dopo trent'anni, va fuori di casa, abbandona sua madre - "abbandona", non so, dice a sua madre che lui ritornerà quando Dio vorrà (ma l'aveva già detto al tempio a 12 anni!) (26) - e trova quei due; poi la mattina dopo li trova con Simone, poi trovano Filippo e poi Natanaele: pensate a costoro che vanno a casa, nelle loro famiglie, a dire queste cose (perché bisogna dire alla famiglia la cosa in cui si crede; il primo amore alla famiglia è questo, anche se la famiglia ti martirizzasse). A un certo punto - tutte le cose vanno in un certo modo, la domanda si scaltrisce sempre di più: «Chi è mai quest'uomo?» o, come poi gli diranno i farisei: «Fino a quando ci tieni col fiato sospeso? Di' chi tu sei e da dove vieni!» (e avevano i registri dell'anagrafe da cui risultava che era nato a Betlemme dal tale e dalla tale) -, a un certo punto che quell'uomo si dicesse Dio è stata la spiegazione completa dell'attaccamento che avevano a Lui. Compreso san Pietro, che - anche dopo che Cristo gli aveva risposto: «Va' via da me, satana», (27) perché lui gli aveva detto: «Tu non sarai mai ammazzato», e dopo che, pur avendogli detto questo, l'ha tradito (san Pietro è quello più bersagliato come peccatore nei Vangeli!) - dà a Lui tutto.

Note
1 Cfr. L. Giussani, Si può vivere così?, BUR, Milano 1994, pp. 11-61.
2 Ibidem, p. 22.
3 Gv 14,6.
4 Cfr. L. Giussani, "Si può (veramente?!) vivere così?", BUR, Milano 1996, pp. 58-65.
5 Cfr. L. Giussani, Il senso religioso, Rizzoli, Milano 1997, pp. 8-11.
6 Cfr. Ibidem, pp. 146-148.
7 Cfr. L. Giussani, Se non fossi tuo, mio Cristo, mi sentirei creatura finita, suppl. a Litterae Communionis - Tracce, n. 8, settembre 1997, p. 12.
8 Cfr. Gv 2,1-11.
9 Cfr. Mt 8,23-27; Mc 4, 35-41; Lc 8,22-25.
10 Cfr. Mt 8,2; Mc 1,40; Lc 5,12.
11 Mt 9,23-25; Mc 5, 35-43; Lc 8,49-55.
12 Cfr. Mt 16,13-16; Mc 8,27-29; Lc 9,18-20.
13 L. Giussani, L'uomo e il suo destino. In cammino, Marietti, Genova 1999, p. 7ss.
14 Cfr. Mt 16,13-17.
15 Cfr. Mt 16,18.
16 Cfr. L. Giussani, All'origine della pretesa cristiana, Jaca Book, Milano 1988.
17 Cfr. 1 Cor 15,28.
18 Cfr. L. Giussani, Porta la speranza, Marietti, Genova 1997.
19 Cfr. Gv 1,35-51.
20 Cfr. L. Giussani, "Tu" (o dell'amicizia), BUR, Milano 1997, pp. 275-321.
21 "Il n'est pas d'idéal auquel nous puissions nous sacrifier, car de tous nous connaissons les mensonges, nous qui ne savons point ce qu'est la vérité" (A. Malraux, La Tentation de l'Occident, Bernard Grasset, Paris 1926, p. 216).
22 Dante, Purgatorio, canto XVII, vv. 127-129.
23 Te Deum, in La preghiera del mattino e della sera, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1989, p. 1835.
24 Cfr. Mt 3,17; Mc 1,11; Lc 3,22.
25 Cfr. Lc 4,16-29.
26 Cfr. Lc 2,41-50.
27 Cfr. Mt 16,21-23; Mc 8,31-33.