O l'essere oppure nulla

Parola tra noi
Luigi Giussani

Appunti da una conversazione con Luigi Giussani all'Assemblea Responsabili di Comunione e Liberazione
Milano, 28 aprile 1998


Come altri amici sono più portato a fare e ad agire, e non corro molto, mi sembra, il rischio dello spiritualismo di cui tu hai parlato agli Esercizi della Fraternità a Rimini, quanto piuttosto quello di mettere l'azione, il fare, davanti a tutto. Ma il fare senza ragioni non può essere proprio l'espressione dello spiritualismo?
Certo. La ragione si trova perché innanzitutto agisce come forma dell'azione dell'uomo. Non si può assumere un atteggiamento senza che questo - se guardato e letto umanamente - implichi come forma una ragione. Qualsiasi atteggiamento dell'uomo, anche del primitivo, è determinato da una ragione, altrimenti non sarebbe umana l'azione. Consapevoli sì, consapevoli no, perciò, l'azione non viene mai prima della conoscenza, non è necessario che venga prima della conoscenza perché sia efficace, chiarificatrice o efficace: l'uomo è uno. Per questo noi diciamo che scopriamo, leggiamo le ragioni nell'esperienza, dall'esperienza.

Si può dire che, se l'uomo non è ragionevole nell'agire, se la sua ragione non è sottomessa all'esperienza, anche l'azione non è mai morale e alla fine il rischio del moralismo è inevitabile?
Certamente, perché è un meccanismo illusorio, è una presa di posizione illusoria, in quanto l'uomo, come tale, non può agire se non per incarnare un'esigenza sua, un aspetto del rapporto con l'infinito che lo costituisce. Il moralismo è molto più un'astrazione che neanche l'affermazione di qualcosa che preme a sé.
Ne La coscienza religiosa dell'uomo moderno tu definisci il moralismo come l'esaltazione compiuta dalla mentalità comune di un valore contro tutti gli altri...
... di un valore scelto, selezionato, identificato, sì. Comunque, la cosa che più mi preme del tema che è stato ora affacciato è sottolineare che noi siamo fatti di quello che diciamo degli altri, noi siamo fatti della mentalità comune; non facciamo quindi il discorso contro quelli della sinistra, contro i comunisti, i socialisti o i liberalisti (non c'è un "ismo" che non rifluisca nell'altro): quello che denunciamo è anche in noi, è dentro di noi, perché l'ambiente in cui viviamo ci penetra, o ci esprime; penetrandoci, poi, ci esprime, esprime la corruzione nostra.
Quindi tutti i rischi che hai indicato nelle due lezioni agli Esercizi sono anche nostre tentazioni?
Ma certo, altrimenti non li avrei neanche detti.

Si può, allora, dire che il terzo punto della prima lezione - l'appartenenza al carisma - è decisivo come indicazione di metodo per vincere, per risorgere, riscattarsi continuamente da questa mentalità che ci pervade? Quello che ci permette una fedeltà a Cristo e alla tradizione della Chiesa, hai detto, è l'appartenenza al carisma...
Se non si mette questo come tema più evidente, il primo tema evidente, si ricade ancora in una posizione senza Cristo, in una posizione non cristiana, in quanto non vera. Perché il movimento è il modo concreto e non teorico con cui noi incontriamo Cristo, cioè il Mistero. Che non è affatto affermare che è l'unica possibilità. Come dire: «Adesso io vi parlo definendo le cose, come unica definizione possibile». Non è questo che affermiamo, non è difendere il come diciamo, ma "quello" che diciamo. Quello che diciamo non è nostro, è comune a tutti coloro che credono (i semplici di cuore soprattutto: madri, padri, fratelli e gente vicina di casa, più che neanche preti o professori d'università).

Per non far restare un sentimento del momento lo schianto affettivo che gli Esercizi hanno generato in me, mi pare occorra un lavoro. Qual è questo lavoro? In altre parole, qual è il metodo che ci suggerisce l'Avvenimento?
Seguire. L'unica cosa che mi insegna è quello che mi ha colpito e cambiato: rifare, portare avanti la mia attività, l'agire di me stesso, come è stato sorpreso, secondo ciò che ho visto, suggestivamente ho visto, e mi ha persuaso. Perciò è seguire.
Del resto, bisogna che il Signore, che lo Spirito, ci faccia capire anche i nessi tra tutte queste cose, perché si capiscono andando sempre più avanti. Quando leggo Porta la speranza, quando mi riferisco a questo testo, a questo libro, mi sorprendo di quello che vi si dice, di cui sono stato fatto attore quarant'anni fa. Il tempo arricchisce sempre le cose vere, le conferma; le conferma in modo tale che uno, dopo la terza o la quarta volta che ci pensa, se incontra qualche espressione, è cento volte più sicuro di prima. E la sicurezza non è perché è cento volte di più; la sicurezza è perché è cento volte più semplice: i passi per arrivare al dunque, invece che cento, sono dieci. Più semplice e più facile.

Tu hai attaccato fortemente il pericolo dell'ideologia, sia nella lezione di La Thuile sia nella prima lezione degli Esercizi. D'altra parte, io osservo che una certa forma di ideologia poi insorge sempre, inevitabilmente, e quindi il problema è: qual è il fattore di correzione di un atteggiamento che normalmente insorge come ideologico (per esempio l'ostinazione di una certa progettualità)? Il fattore di correzione non è avere qualcuno, riconoscere qualcuno cui obbedire?
Certo, infatti l'uomo è perché ha Dio che esiste, è perché ha Dio che capisce, è perché ha Dio che ama, è perché ha Dio che costruisce. Perciò, l'uomo costruisce quanto più guarda in faccia a chi gli determina l'azione, all'Altro, imita un Altro.
Le cose che abbiamo detto agli Esercizi prima di tutto sono cose vere, persuasive, e in secondo luogo sono inevitabili da dirsi, se si capiscono bene. Insomma, la differenza tra il cristianesimo e tutte le altre religioni è che tutte le altre religioni (come tutte le filosofie) partono da una posizione riflessa del soggetto, per cui il preconcetto è realmente il punto di slancio di tutte le corse. La differenza tra il cristianesimo e tutto il resto, dunque, è che tutto il resto parte da un preconcetto: «I concetti creano gli idoli - dice san Gregorio di Nissa -, solo lo stupore conosce». Il preconcetto crea l'ideologia. Ma tutto il mondo, tutti nel mondo partono da un preconcetto. La maggior parte degli uomini non riflette, non sa riflettere; perciò non capiscono, non possono capire - per alcuni non è vero: i semplici di cuore - che si parte da un preconcetto.
Solo l'avvenimento - dice il cristianesimo - è ciò da cui viene la salvezza. La consistenza e la salvezza della vita vengono da un avvenimento, il mondo c'è per l'avvenimento che l'ha creato (è l'atto creatore). L'avvenimento e non il preconcetto.
L'avvenimento non fa "imbestialire": l'avvenimento è quello che è. È semplice. Come per il bambino la mamma è la mamma. Partire da un preconcetto, invece, mette subito con le armi in pugno: bisogna difenderlo. Allora si sviluppa l'ideologia per contrattaccare.
L'avvenimento, se lo guardi, più lo guardi, più lo fissi, più ti stupisce. Mentre difendere il preconcetto, vivere difendendo il preconcetto, è sempre una violenza. La violenza nasce dal preconcetto; la pacatezza nasce dall'avvenimento.
Un avvenimento non lo puoi creare tu: ti ci imbatti. È ciò che dice Finkielkraut. L'avvenimento non solo non lo devi trovare, perché non ti può venire neanche in mente di trovarlo: ti invade, ti colpisce e ti invade, senza che tu prenda nessuna iniziativa. Perciò l'avvenimento non esige violenza, non vuole violenza, non desta violenza, non la vuole. Il preconcetto, invece, è artificioso: ed è l'artificio che porta la violenza.

E' perché si tratta di un avvenimento che hai sottolineato così fortemente la semplicità di cuore? Ma se l'uomo originalmente è creato con questa semplicità, com'è che nell'uomo adulto tale semplicità - che, hai detto agli Esercizi, viene prima anche del giudizio della fede - riaccade?
La semplicità non è nient'altro che il metodo con cui Dio percorre la strada della Sua creazione. Il tempo della creazione di Dio, il tempo della comunicazione dell'Essere all'essere creato - che è un tempo in cui Dio dà se stesso al nulla, dà l'increato al creato -, il tempo opera tutto quello che deve operare: Dio è tutto in tutto. La semplicità è la modalità con cui questo avviene. L'avvenimento è una cosa nuova che entra nella vita; è una cosa nuova che entra nella vita, senza domandarci se entrare o no: entra! Perciò uno spalanca gli occhi, spalanca il cuore, spalanca le braccia, e Quello si siede alla tua mensa. E uno cresce in questo. Per comportarsi in modo diverso, uno dev'essere un mentitore, deve passare attraverso la menzogna, deve diventare un mentitore, è mentitore, è una bugia, è un inganno. Il mistero della libertà dell'uomo è più descrivibile secondo queste parole. Come mai c'è l'inganno? Noi abbiamo già risposto, in qualche modo, come si può rispondere. Rispondiamo, per esempio, che questo inganno avviene attraverso quell'aspetto del gesto dei genitori originali, in cui Eva si lasciò percuotere da un corpo estraneo, estraneo alla sua esperienza, estraneo alla coscienza di quello che era, estraneo alla sua coscienza, qualcosa che è serpeggiato dentro. Io non riesco a capire come si possa spiegare senza arrivare alla parola mistero, senza fermarsi qui, alla parola mistero: «Chissà come fa a sorgere questo!».
Comunque, la cosa principale è che dobbiamo trattare le cose che diciamo per gli altri (come definiamo gli altri, come sentiamo gli altri, ecc.) come reazioni che possono descrivere e condannare o giustificare noi stessi. Io capisco cosa sono i manichei o cosa sono, non so, gli zeloti, o come sono i marxisti alla Lenin, alla Stalin, soltanto in quanto capisco come in me quel che loro sono, ciò per cui sono, è: è in me quello per cui loro sono così. Questo spiega perché io non voglio essere come loro.

Il primo modo per essere semplici non è non pretendere di esserlo?
Giusto. Perché pretendere di esserlo è già complicato, non è essere come si è stati fatti, ma come si vorrebbe diventare noi!

Vorrei fare una osservazione legata alla nostra situazione, nelle università o negli ambienti di lavoro: nel deserto attuale non si può più nemmeno, paradossalmente, agire per reazione, e la coscienza della propria originalità, dell'origine da cui si parte, di ciò che si segue, come fattore della propria identità, è veramente l'unica possibilità di costruire.
In questo senso, capiamo meglio il peso di quelle due domande che ci siamo fatti la volta scorsa: «Chi guardate?» e «Che peso hanno i nostri testi, proprio come giudizio sulla vita?». Perché questo indica che la partenza non è da un niente; la partenza è da un fatto che, nella memoria, nella sequela, nell'obbedienza, accade: un fatto che è presente adesso, una vita che si comunica adesso.
Anche il Verbo, che ha fatto il mondo e tutto il creato, parte da una Presenza: quella del Padre. O l'Essere oppure nulla. Essere o nulla. Questa è la grande e vera alternativa, che è la cosa più fantasmagorica che si possa affermare: che esista una iniziativa di questo genere. Nulla: e l'Essere. L'Essere è positività, l'Essere c'è perché c'è, l'Essere è ricchezza, l'Essere è fascino. In questo senso l'estetica muove tutto ciò che c'è, l'attrattiva muove tutto ciò che c'è. Altrimenti è il nulla, da tutto ciò che c'è viene fuori il niente. Non solo per i filosofi che del niente fanno la loro bandiera, ma per tutti; perché anche un vescovo, morendo, poco prima di morire, mi potrebbe chiamare e dire: «Ma sai che in questi giorni sono tormentato dalla tentazione di pensare che con la morte io divento niente, come è per tutti?».

Vorrei tornare sulla frase di Gesù che tu hai più volte richiamato nella Sintesi agli Esercizi: «Se non ritornerete come bambini»...
... dove il guardare del bambino è molto più decisivo, e subito, in fretta, che neanche tutti i ragionamenti dell'uomo. E il guardare del bambino aumenta nell'uomo, se sta veramente sotto tutte le chincaglierie dei ragionamenti. Per questo abbiamo scoperto che l'amore, l'amare è identico a sapere o conoscere. Il conoscere è amare e l'amare è conoscere, è nel conoscere.