"Tu sol pensando - o ideal - sei vero"

Parola tra noi
Luigi Giussani

Le lettere di don Giussani ai primi quattro studenti di Gioventù Studentesca che partirono per il Brasile. Era il 1962.
«Vi prego, amici, di pensare a quante cose dipendono da voi; a quante cose dell'avvenire di tutti noi»

Queste lettere sono state scritte da don Giussani ai primi quattro giessini in Brasile: Franca, Italo, Lidia e Giancarlo. Ricopiate da qualcuno di loro (per questo di talune rimangono solo delle frasi) costituiscono non solamente un documento estremamente significativo di quel momento vissuto da Gioventù Studentesca, ma anche un'espressione molto chiara del pensiero di don Giussani, delle sue preoccupazioni di quel momento. Verrebbe la tentazione di fermarsi, riga per riga, a commentare, a sottolineare. Ma non sarebbe una scelta felice, perché si sostituirebbe al lavoro che ciascuno è necessario che faccia, se vuole godere il frutto di questa lettura. Basti segnalare che il tema centrale attorno a cui ruotano tutti questi testi, scritti in un periodo molto breve di tempo (cinque mesi), è il primato dell'essere sul fare. Già si intravedeva, dunque, il rischio delle sottolineature che avrebbero portato alla divisione degli anni successivi. Colpisce anche la grande preoccupazione di don Giussani nell'indicare a questi ragazzi l'essenziale: il nesso con la persona di Cristo, soprattutto attraverso la preghiera; la dedizione al Regno di Dio, anche attraverso il sacrificio che essa richiede («siate innamorati del Signore che vi ha scelti per iniziare una cosa che potrà avere un grande frutto per il suo Regno»); una sconfinata apertura sia verso se stessi sia verso gli altri («non pretendete nulla, non giudicate nulla»).
È utile riandare alla storia che ha preceduto questi testi.
Fin dall'inizio di Gs, don Giussani volle dare alla sua opera, così come alla coscienza dei ragazzi, una apertura universale: «Le prospettive universali della Chiesa sono le direttrici normali della vita del cristiano» fu una espressione di Pio XII ricorrente negli scritti e negli interventi di don Giussani nei primi anni. Era necessario sostituire all'imperativo morale, che dominava tanta educazione cattolica, una prospettiva ideale che muovesse i giovani. Fu questa la prima, fondamentale preoccupazione del fondatore di Gs.
Ma occorreva che i ragazzi fossero direttamente e personalmente impegnati con l'ideale proposto. Anche questo era un principio centrale nella pedagogia di don Giussani. Da qui l'esigenza di prestare attenzione alle possibilità che il caso (o la Provvidenza) avrebbe presentato.
«Credo che Gs sia stato il primo movimento cattolico italiano che ha fatto a giovani studenti la proposta di partire per le missioni», osserva un giornalista e storico delle missioni, Piero Gheddo. Nel 1960 Giussani aveva conosciuto monsignor Aristide Pirovano, vescovo del Pime in Amazzonia, tornato in Italia proprio quell'anno, e attraverso di lui il dottor Marcello Candia, importante industriale milanese che stava progettando di lasciare la propria impresa per andare missionario in Brasile.
Fu proprio Candia a far conoscere a Giussani una suora, suor Raffaella, della Congregazione dello Spirito Santo di Lucca. Dirigeva a Belo Horizonte un collegio femminile. Anche se alla fine con lei non si realizzò nulla di duraturo, fu l'aggancio determinante per il grande balzo.
Prima di ferragosto del 1960 Giussani partì da Genova per il Brasile.
Il Vescovo dell'Amazzonia aveva partecipato nel gennaio 1960 al convegno "Vivere le dimensioni del mondo" e lì si erano concretati i progetti del viaggio. L'anno successivo don Giussani ripeterà il viaggio durante l'estate. Con lui c'era ancora monsignor Pirovano e i primi materiali per l'ospedale del dottor Candia. Una nuova strada era stata aperta, nel gennaio del 1961, da un giovane brasiliano, Marco Aurelio Velloso, leader della Uec (Unione degli Studenti Cattolici) di Belo Horizonte, che, durante un viaggio in Italia, era venuto a Milano con i genitori e aveva incontrato Gs. Dal 16 al 23 luglio del 1961 tre ragazzi e tre ragazze di Gs parteciperanno al convegno della Uec a Belo Horizonte nelle aule della Facoltà di veterinaria: Alberto, presidente diocesano della Giac milanese, Eugenia, presidentessa di Gs, Giorgio, segretario generale di Gs, Gianni, pure di Gs, Anna Grazia, figlia di un produttore di vino, che pagò il viaggio, e Matilde. Don Giussani raggiunse, dopo Macapà, questa delegazione a Belo Horizonte.
Con traduttori improvvisati, davanti a duecento ragazzi, si organizzò anche una piccola "tre giorni" (tipo le "tre giorni" di Varigotti) nella scuola di suor Raffaella. Fu l'inizio di scambi sistematici di giovani tra Gs e il Brasile. Infatti nel gennaio 1962 Giancarlo, Italo, Lidia, Franca partirono «per fermarsi un anno a Belo Horizonte, ospiti del collegio diretto da madre Raffaella». Italo si ammalò
e tornò, mentre rimasero fino al novembre 1962 gli altri tre.


I
12.2.62


Quello di quest'anno è un esperimento per voi: un esperimento lungo, dirà qualcuno; ma, in fondo, dieci mesi non sono molta cosa.
È un esperimento per noi, perché questi sono gli inizi di qualcosa di più vasto.
Vi prego, amici, di pensare sempre a quante cose dipendono da voi; a quante cose dell'avvenire di tutti noi.
Non è importante quello che riuscirete a fare: è decisivo quello che riuscirete ad essere.
Noi vogliamo solo il Regno di Dio: per il Regno di Dio - da Cristo in poi - è importante solo quello che si è, non quello che si riesce a fare.
Questa aridità di esito, questa superficialità di contatto, questa difficoltà di comunicazione di ciò che più sentite dentro di voi, vi renderà certo più ardua la vostra impresa.
Vi darà un senso di solitudine e di durezza che alle ragazze forse apparirà di meno. Vi farà sentire più facile la nostalgia di un ambiente più felice e più domestico coi vostri sentimenti. Vi scongiuro di non meravigliarvi di queste difficoltà, e di trattarle come ovvie, e di superarle tranquillamente.
Non è ciò che voi ragazze riuscite a fare con la decina di quelle che vi seguono, l'importante.
L'importante è l'amore essenziale cui vi educate. E più spoglia di risposte è la vostra fatica, più essa sarà strada alla vostra personalità cristiana.
Ricordatevi delle due grandi regole che costruiranno la vostra opera, che è l'inizio della nostra opera:
1) L'abbandono a Dio - la preghiera -, la familiarità fiduciosa con Colui che ha fatto mare, cielo, terra, passato e futuro.
2) La familiarità semplice tra voi, la comunità vissuta tra di voi: curate l'espressione di questo affiatamento tra di voi. Non abbiate altra preoccupazione che di tornarci a casa più "grandi", più come il Signore, anche se vi chiedesse di imitarne la solitudine.

II
14.2.62


Carissimi,
i vostri rimproveri non mi suonano molto tali, dal mio punto di vista. Moltissimo di quello che altri vi hanno scritto era con me concordato. «Expedit vobis ut ego vadam» (Conviene a voi che io vada, ndr).
Ho addirittura telegrafato e scritto ad Italo perché mi era assai piaciuta l'ultima sua lettera: ed è il più piccolo.
Ma non perdiamo il tempo. Data la visione generale delle cose, così come emerge anche dalla lettera di Lidia del 6 c.m. ricevuta mezz'ora fa, i punti che mi premono di più sono:
1) attenzione allo scopo fondamentale da raggiungere: una vostra statura cristiana più vera, cioè più aderente alla figura del Signore. Non è, questo che vivete, il luogo e il tempo della vostra "professione" nel Regno di Dio: questo luogo e questo tempo sono momento del vostro "aumento fino alla misura di Cristo". Ogni altra considerazione deve essere crocifissa e redenta in questo supremo avvenimento che deve accadere in voi stessi. La grandezza della vostra vita dipenderà dall'ampiezza che date ora alla vostra anima: perciò pregate Iddio con me che s'avveri di me e di voi ciò che dice la Bibbia di Salomone: «Dedit ei Dominus latitudinem cordis quasi harena quae est in litore maris» (Gli diede il Signore una grandezza del cuore come la sabbia che è sul lido del mare, ndr). Ragazzi miei, non c'entra nulla che riusciate o no a fare: Dio fa sì che diventiamo capipopolo come Mos?o solitari come Cristo in Croce.
Ogni scoraggiamento, anzi, ogni allarme assecondato, in questo senso, viene dalla menzogna del nostro amor proprio, o da una schiavitù alla pressione delle circostanze. Padre Beduschi, uno dei primi missionari in Africa, ci rimase tre anni facendo un Battesimo e morendo di peste nera. Amici miei, ricordiamoci che Dio è vero, e che la realtà è amarLo. E basta. In conclusione, tutte le difficoltà, tutta la mancanza di risposta, tutta la tentativa amarezza per non poter fare, tutta la mortificazione per uno sbaglio, altro non è che richiamo all'essenziale, Dio e il suo Cristo.
2) Primo strumento per questo aumento di voi stessi, della vostra personalità cristiana, è la comunità, cioè la vostra comunità in quanto particella della nostra comunità di origine. Ora siete in formazione: perciò, secondo le idee sulla educazione cattolica, bisogna che la direttiva sia una e omogenea. Occorre che perseguiate lo spirito e le ossa e la carne della nostra comunità. Lontani come siete, è perciò solo la vostra vita in comune, sia come animo (ma questo è ovvio), sia anche come riferimento esteriore, sistematica comunione tra voi. Il sentimentalismo sarà infrenato dalla riflessione e dalla domanda al Signore ch'è la preghiera, oltre che dal "da fare". Perciò insisto nel contatto anche esterno fra di voi (naturalmente con discrezione verso l'ambiente: ma la discrezione deve avere come limite le esigenze dell'ambiente, oltre - è ovvio - la prudenza interiore).
3) Secondo strumento per la vostra formazione sarà il lavoro di collaborazione con madre Raffaella.
E innanzitutto la preparazione all'insegnamento. Siccome, da quanto mi scrivete, sembrerebbe in difficoltà Italo, io gli dico di non smarrirsi affatto. Tu, Italo, hai risorse improvvise, perciò - se già non l'avrai fatto - mettiti gioiosamente e appassionatamente a imparare lo strumento che ti renderà utile lì. Ché se non abbiamo il gusto della tenacia, chiediamola al Signore.
In secondo luogo, la collaborazione per l'Uec. Aiutate corpo e anima suor Raffaella, e sono felice che ci sia P. Castanheda. Io però vi prego di non dirigere voi, di essere lentissimi nell'introdurre metodi nostri come forma. Comunque, credo che il criterio migliore sarà quello di paragonare questa mia preoccupazione con quelle di madre Raffaella.
Avrei dovuto spedirvi la lettera tre giorni fa: ma anche la salute mi ha fatto "cilecca" in preparazione al Convegno e finisco la lettera dal letto. Dopo il Convegno riprenderemo i discorsi.
Saluti a madre Raffaella. A voi un abbraccio fraterno.

III
28.2.62


Mi permetto sottolineare alcune cose ovvie, sì, ma la rimeditazione soltanto incarna il Verbo in noi.
1) Siate profondamente radicati nell'amore al Regno di Dio, che accade non per quello che fate, ma per l'offerta del sacrificio. È solo la Croce che salva il mondo.
2) Ciò vi renda sereni e gioiosi a qualsiasi compito vi si assegni.
Anche se, quindi, il vostro lavoro non andasse come sognavate, accettate
ilarmente; sentite il Regno di Dio, il Brasile, e il destino di Gs molto di più con il non scoraggiarvi mai, con l'adattarvi a tutto, più che con qualsiasi altra capacità.
3) Come per la vostra vita spirituale e la vostra educazione alla personalità dovete essere fedelissimi alla nostra comunità e ai valori e alle direttive note, così invece per tutta quanta l'attività e il comportamento con gli altri e l'ambiente la regola è una profonda
adattazione. Non pretendete nulla, non giudicate male nulla.
Siate innamorati del Signore che vi ha scelti per iniziare una cosa che potrà avere grande frutto per il Suo Regno: e non vi importi nulla eccetto che di essere lì, ubbidienti e volenterosi.
«Gratiam agimus propter magnam gloriam tuam» (Ti ringraziamo per la tua grande gloria, ndr).
E un lembo della sua gloria siete pur voi, non ciò che riuscite a fare, ma voi, la vostra offerta.

IV
20.3.62


... E ieri si è corsa la "Sanremo" e mi veniva in mente il paragone di san Paolo: «Quelli si affaticano tanto per una cosa che marcisce Anch'io corro, anch'io mi sforzo e protendo, e non per una corona corruttibile». E mi siete venuti in mente voi, che state dunque correndo, e non dimenticate per che cosa.
Quella sonnolenza che viene dalla nostra originale parentela col nulla ci farebbe abituare a qualsiasi cosa, svuotando anche le intraprese più nobili: non abituatevi a ciò che avete creato nella vostra strada. Apritene continuamente la ferita: che tale è - ferita della consapevolezza del mistero di Cristo e della Chiesa (e della felicità umana) ignorato o contraddetto; ferita della adesione a un altro tipo di vita, altri uomini, altre situazioni; - ferita della fede e ferita della carità.
E non dimenticate per che cosa state correndo: non sostituite il miraggio d'una affermazione della vostra personalità, d'una vostra "opera", d'un vostro esito, d'una vostra soddisfazione, d'un vostro punto di vista, d'un vostro puntiglio all'amore della Croce di Cristo, cioè all'amore del Regno di Dio. Non sostituite la vostra piccola misura al Mistero.
Perciò, per quanto riguarda la vostra convivenza lì, ubbidite - non pretendete nulla e ubbidite. Dovete tornarmi più "giganti per correre la strada": perché abbiamo bisogno di voi così. Il Brasile sarà l'educazione più facile alla grandezza di spirito.

V
16.5.62


... Liberi con le preghiere, ma fedeli nella preghiera. Non formalizzatevi, ma parlate sempre a Gesù Cristo.
(...)

VI
31.5.62


1) Devo dirvi che state rendendo possibile una grande cosa e un grande sogno.
2) Proprio perché è una grande cosa è un sacrificio. E il sacrificio è l'adattamento e l'ubbidienza. Gesù ha incominciato a salvare il mondo dipendendo da Maria e Giuseppe, che non avevano certo le idee del Regno come le aveva Lui e il Suo divino Padre.
3) L'equilibrio nel mantenere fedeltà ai valori nostri deve essere innanzitutto interiore, e in quello che fate voi, prima che in quello che esigete dagli altri. Qui andate cauti, e non
Siate, e per ora non predicate troppo. Questo è solo un tirocinio. Voi non siete andati lì per cambiare il Brasile. Voi siete andati lì per iniziare un servizio. Abbiate profonda comprensione e longanimità con gli altri.

VII
5.7.62


Insisto nel sottolineare la necessità che vi adattiate - nel modo o nella quantità delle cose da presentare - all'ambiente.
Il Signore è diventato uomo e per trent'anni ha fatto silenzio. E quando ha parlato ha cominciato dalle necessità comprensibili ai più: l'importante, cioè il valore, deve essere la molla segreta e lo scopo cui tutto convogliare.
Ricordatevi che innanzitutto e soprattutto è la carità dell'adattamento, del condividere, del non giudicare - la morte di noi stessi.
E preparatevi giorno per giorno a vivere l'unica comunità - fatta dal Signore, la Chiesa -, la comunità più semplice e profonda, che come tale non ha bisogno di aggiunte. Vera comunità, là dove si cerca di viverla in dedizione e in carità. a cura di Mario Camisasca
(ha collaborato Franca Ferrari)